a margine del lavoro.

 

Gli impegni lavorativi e le attività sociali istituzionali non ci hanno impedito di coltivare altri interessi para sociali.

Fin dall'inizio, Valentina D'Urso aveva dimostrato parti­colari doti culinarie che coltivava documentandosi con libri e riviste. In considerazione di questi interessi, in un suo com­pleanno, le regalammo un contenitore in terracotta per cuci­nare il pollo alla creta; volle subito darci una dimostrazione organizzando un pranzetto coi mezzi di cui disponevamo in Istituto. Seduti attorno alla tavola improvvisata, nell'aprire il contenitore fummo investiti dal profumo degli aromi che ne facevano pregustare la bontà; col rito solenne e composto della dissezione, le sensazioni olfattive originarie cominciarono a cambiare virando verso strani odori che lasciavano perplessi ... Valentina spergiurava di essere al corrente che il contenuto delle interiora del pollo non è previsto nella ga­stronomia dei popoli occidentali; asseriva di essere stata tratta in inganno pensando che i polli venduti al supermercato fossero sempre pronti per la cottura, ma quella volta non fu così ...

 

Capitava anche di programmare qualche attività fuori dell’Istituto.

Un giorno in bacheca apparve l'annuncio di un

 

Seminario di studio sulle moderne tecniche di terapia del complesso di castrazione attraverso l'introiezione di modelli che hanno subìto un tale trauma.

 

Psicologi e studenti di psicologia leggevano attenta­mente il titolo altisonante, sussurravano commenti sull'inte­resse destato dall'argomento, si allontanavano, tornavano indietro per assicurarsi di aver letto bene, ma nessuno osava chiedere spiegazioni, nel timore di un giudizio negativo sulla propria documentazione in merito.

Qualche sospetto sull'esatta interpretazione affiorò quando si conobbe la sede del seminario: Floresta, un pae­sino sullo spartiacque dei Nebrodi, a tutti noto per il buon castrato!

 

La costruzione del terrario monopolizzò gli interessi ex­tra lavorativi di quel periodo; erano frequenti le spedizioni, armati di binocolo e piccozza, in cerca di frammenti rocciosi nei posti più disparati, dalle cave di Custonaci (nel trapanese), all'isola di Capo Passero, a Castelluccio (nel siracusano), alle campagne di Caltagirone e di Caltanissetta, ai Nebrodi, all'Umbria, al Brennero, alla Val d'Aosta ed una puntatina in Tunisia; raccogliemmo quintali di materiale: formazioni cal­caree, marmi, basalti, ardesia, scisti, granito, quarzo, ossi­diana, cristalli di gesso, rose del deserto, fossili e minerali vari.

Parte delle notti era poi trascorsa nel paziente lavoro di composizione e di muratura, che non poteva essere affidato ad operai.

 

La collaborazione non mancava di certo, anche se non sempre nella direzione da noi voluta; Sigismondo e Petronilla, le due simpaticissime scimmiette scoiattolo, erano sempre attente a seguire i lavori e a collaudarli non appena noi ci allontanavamo, ma non in tutti i casi, con nostro disappunto, il cemento fresco rispondeva positivamente al collaudo. Una particolare attrazione era in loro suscitata dagli attrezzi per l’impianto elettrico ed armeggiavano con pinze e cacciavite non appena riuscivano ad impossessarsene. Sapevano, però, essere anche servizievoli; una volta Petronilla fece cadere in un cunicolo a noi non accessibile un cacciavite; Rocco con cipiglio severo la rimproverò intimandole di andarlo a cercare; la bestiola rimase per un momento sgomenta, poi si infilò dentro e riemerse col cacciavite in mano!

Michelino, un affettuoso caimano dagli occhiali che per tanti anni fu la nostra mascotte, non creava problemi, tranne un certo panico tra i presenti quando decideva di fare una passeggiata esplorativa lungo il corridoio; ma non era difficile farlo tornare a casa: bastava parlargli con voce suadente, accarezzargli la schiena avanzando fino al collo e alla testa, perché chiudesse vezzosamente gli occhietti, aprisse la boccuccia e rimanesse estasiato in uno stato ipnotico. A questo punto lo spingevamo su una tavola e due persone lo trasportavano fino al suo angolo preferito, una zona riscaldata da una lampada a raggi infrarossi.

Gli scoiattoli tricolore si limitavano ad osservare a distanza, con dignitoso distacco, il corso del lavoro, ma senza interferire. Dopo un certo tempo dall’ultimazione degli impianti, immettemmo un’altra specie di scoiattoli, di taglia più piccola; al mattino seguente Rocco, arrivato per primo, in preda allo sconforto, lapidariamente sentenziò: «Quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini». Lo spettacolo, infatti, non era entusiasmante: impianto elettrico saltato, citofoni impazziti, acqua che schizzava dai tubi di plastica rosicchiati; ci toccò rifare gli impianti e metterli sotto traccia e da allora a quel tipo di scoiattoli rimase il nome di Barberini.

 

Frattanto l'organizzazione era diventata molto più com­plessa e non ci lasciava abbastanza tempo per questi diversivi, anche se - confesso - erano veramente piacevoli.

Ci eravamo prefissi di completare l'opera nell'80; molto materiale era però ancora accatastato e fissammo un nuovo termine per il completamento: il duemila.

Il duemila giunse, affittammo quella zona alla banca sottostante e tutto il lavoro andò perduto prima ancora di essere completato ... succede anche questo nella vita!