4. Contributi in campo religioso
Ricerche di psicologia religiosa e pastorale
Fin dall’inizio, il nostro Istituto si è occupato del campo della psicologia religiosa e pastorale, anche perché il Direttore, fino al limite d’età, ha insegnato queste discipline presso lo Studio Teologico S. Paolo, aggregato alla Facoltà Teologica di Sicilia. Gli interventi sono stati sia a livello di ricerca, sia a livello d’ausilio nel campo pastorale, come vedremo nei paragrafi seguenti.
Ricerche su problemi connessi
con l’educazione in Seminario
Nel corso degli anni 1970-71 si vennero a creare due situazioni che indussero ad approfondire lo studio dei problemi connessi con l’educazione nei seminari, sia a livello nazionale sia locale:
Il Direttore fu chiamato a Roma per far parte della Commissione Tecnica, di supporto alla Commissione Episcopale, per la compilazione della Ratio institutionis sacerdotalis nazionale (formazione dei chierici nei seminari italiani).
L’Arcivescovo Coadiutore, Mons. Picchinenna, aveva invitato il clero catanese a presentare dei documenti sui criteri educativi da adottare nel Seminario Arcivescovile di Catania.
Il nostro Istituto organizzò per un certo periodo incontri settimanali interdisciplinari, con la partecipazione di studiosi anche di altre confessioni religiose, per l’approfondimento del problema.
A conclusione dello studio organizzò un sondaggio attraverso un questionario proposto a tutti i sacerdoti, pubblicato all’inizio del 1972 col titolo «Il Clero di Catania ed i Problemi del Seminario».
Studio del linguaggio
nella trasmissione dei contenuti religiosi
I concetti connessi con la Divinità trascendono la capacità di conoscenza e comprensione umana.
L’essere umano ha tentato una rappresentazione di essi attraverso le esperienze che cadono nell’ambito della sua vita quotidiana, di due in particolare: l’ordinamento sociale e la vita familiare.
Nell’ambito del cristianesimo, il linguaggio religioso affonda le sue radici nella tradizione ebraica e si è strutturato nei primi secoli del cristianesimo, fissandosi definitivamente intorno al sesto secolo.
In questo lungo periodo:
sul piano dell’ordinamento sociale erano in atto le monarchie assolute, nelle quali il sovrano era arbitro insindacabile di vita o di morte sui sudditi, l’aspirazione suprema dei quali era di entrare nelle sue grazie, per esigenza di sopravvivenza e – se fosse stato possibile – per partecipare in qualche modo al suo potere;
in campo familiare era pregnante e dominante la figura del padre, unico detentore e gestore delle risorse familiari e punto di riferimento affettivo e materiale.
Era ovvio che su queste due realtà si modellasse tutto il linguaggio che traduce i concetti di natura religiosa.
Allo stato attuale, le monarchie assolute sono soltanto una reminiscenza storica e la figura del padre è ampiamente messa in crisi.
A prescindere da altre considerazioni molto complesse, la persistenza di questo linguaggio, usato spesso dogmaticamente nel trasmettere i contenuti religiosi, ingenera in molti indifferenza e spesso ostilità per la risonanza negativa in loro suscitata.
Da un certo tempo nel nostro Istituto si cerca di approfondire quest’argomento per le conseguenze d’ordine pratico nel campo dell’insegnamento religioso.
Normale, patologico, paranormale e preternaturale
nei casi di possessioni diaboliche.
Si parla con sempre maggiore insistenza di ossessioni diaboliche, di esorcismi, di preghiere di liberazione, di magie.
I pareri sono contrastanti, non senza disorientamento della gente, credenti e non credenti.
Allo scopo di analizzare il fenomeno vorremmo promuovere uno studio interdisciplinare, se concretamente ne avremo la possibilità.
La traccia seguente indica una prima ipotesi che si intende seguire e gli interrogativi ai quali gli studiosi sono invitati a dare una risposta.
Premesse
Prima di tutto occorre chiarire la delimitazione tra l'oggetto della scienza e quello della religione.
In linea di principio, la scienza non può dire nulla sulla possibilità o meno delle possessioni diaboliche, trattandosi di oggetto di competenza della religione.
Nell'ambito della religione cattolica, spetta alla Teologia e in ultima istanza al Magistero della Chiesa pronunziarsi su di esse.
Il ruolo della scienza è quello di verificare se i fatti in questione sono riconducibili alle leggi che regolano il comportamento umano ed i fenomeni naturali in genere. A studiosi di varia estrazione vorremmo chiedere:
* Se quanto si verifica o viene riferito trova spiegazioni naturali logiche e convincenti, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche.
* Se si possono ipotizzare spiegazioni naturali, anche se non scientificamente provate.
Se, alla luce delle attuali conoscenze certe, la spiegazione dei fatti è possibile solo ipotizzando interventi preternaturali.
La scienza, come cognitio certa per causas, cerca sempre di dare una spiegazione studiando i fenomeni, senza il ricorso all'intervento divino diretto od a cause che sfuggono al suo ambito. Se così non fosse non esisterebbe, ad esempio, la meteorologia e continueremmo a pensare, che Dio, di volta in volta apra le cateratte del cielo per far cadere l'acqua o la grandine, come è scritto nella Bibbia.
Ovviamente, anche se un fenomeno è pienamente spiegabile attraverso le conoscenze scientifiche che attualmente possediamo, nulla vieta che vi si ravvisi l'intervento di entità preternaturali che si servono di meccanismi naturali per danneggiare l'uomo.
Tutti conosciamo, ad esempio, i meccanismi di trasmissione dell'influenza, ma se, al limite, uno studioso vuol sostenere che sia il diavolo a servirsi di quei meccanismi per recare danno ad una persona o ad un gruppo, certamente le scienze biologiche non possono né intendono affermare il contrario.
Da parte loro continueranno ad esorcizzare il virus ricorrendo alle vaccinazioni preventive o usando i rimedi terapeutici adeguati.
Inoltre è un delicato compito delle scienze umane chiarire le conseguenze, a livello psicologico e sociale, delle convinzioni e degli interventi messi in atto per risolvere le situazioni concrete che si presentano.
In particolare si potrebbero porre alla scienza domande del genere:
* In casi risolvibili per altre vie, quali sono i vantaggi e gli svantaggi di intervenire con esorcismi, preghiere di liberazione o altre pratiche, agli occhi della gente, ad esse genericamente assimilabili?
* Quale influenza può avere il facile ricorso agli esorcismi, per una retta concezione della religiosità?
* Il pubblicizzare troppo gli esorcismi, fino a mostrarli in TV serve certamente ai giornalisti per fare spettacolo; serve altrettanto alla gente?
** Potrebbe essere un aiuto per risolvere casi da cui si è afflitti?
** Per contro, quante persone suggestionabili saranno convinte di essere possedute dal diavolo?
** Quante di esse chiederanno l'esorcismo a religiosi o a maghi esorcisti?
** In che misura l'inculcare nei fedeli il concetto che si è in facile balia di forze preternaturali e di persone malevole che possono scatenarle, può servire alla loro religiosità e alla loro vita?
* Qual è il fondamento teologico e scientifico della concezione, sostenuta anche da religiosi in TV, secondo la quale determinate persone con malefici o fatture possono far entrare il demonio nel corpo di altri o comunque provocare del male?
** In che cosa consiste e qual è la differenza tra questa concezione e quello che tradizionalmente viene considerato come superstizione?
** Questa concezione può rischiare di ingenerare confusione ed alimentare la frequenza dei maghi che asseriscono di poter fare o togliere fatture?
* Vi sono dei religiosi che usano un linguaggio e attuano pratiche che sembrano simili a quelle dei maghi; in che cosa si differiscono? Si può creare confusione?
Il fenomeno
ASPETTO STORICO:
Dagli utukku ai daimones:
* La demonologia nelle civiltà mesopotamiche.
* Dalle tradizioni sumerica, accadica, caldea alla cultura ellenistica.
Dualismo religioso nel Medio Oriente.
L'Antico Testamento e le culture mesopotamiche.
La demonologia dell'Antico Testamento.
Credenze sui demoni e sugli angeli nel giudaismo contemporaneo a Gesù.
Il demonio nel Nuovo Testamento:
* Come causa di malattie fisiche.
* Come causa di manifestazioni comportamentali tipiche.
* Come essere che spinge al male.
* Come entità che entra nelle persone ed agisce per mezzo di esse.
* Come simbolo del male stesso.
L'esorcismo nel Nuovo Testamento:
* Guarigione da malattie fisiche ritenute effetto di possessioni diaboliche.
* Guarigioni da anomalie comportamentali considerate manifestazioni diaboliche.
* Liberazione dell'uomo schiavo di tendenze malefiche.
* Liberazione dell'individuo posseduto da una entità malefica.
* Redenzione dal regno del peccato che pervade l'uomo fin nell'intimità della sua persona..
Parola e riti nell'esorcismo:
Confronto tra i racconti dei Vangeli e quelli degli ambienti giudaico-ellenistici.
Le possessioni diaboliche nella storia della chiesa:
Evoluzione della concezione della possessione diabolica.
Evoluzione dei criteri per individuarla
Evoluzione nella modalità degli esorcismi (dalla Parola ai riti)
La malattia mentale come possessione diabolica nel Medioevo.
Le possessioni diaboliche nelle religioni non cristiane.
ASPETTO SOCIOLOGICO:
Nesso tra idea di possessione diabolica, magia e superstizione.
ASPETTO PSICOLOGICO
Archetipo del diavolo
Bisogno della proiezione del male in una entità esterna
ASPETTO ETNOLOGICO
Presenza nelle varie culture dei casi di vere o presunte possessioni diaboliche.
ASPETTO EPIDEMIOLOGICO
Ondate di possessioni diaboliche citate nella storia e, ai nostri giorni, in particolari ambienti.
I fatti
RACCONTI
Cosa si racconta dei casi di possessione diabolica.
I FATTI STRANI ANALOGHI
Fatti strani analoghi non attribuibili a possessioni diaboliche.
Reputati fenomeni normali sconosciuti
Attribuiti ad interventi di ordine magico.
STORIA E LEGGENDA
Storicità e leggenda dei fatti che si tramandano.
PERCEZIONE DEI FATTI
Convinzioni dell'osservatore e percezione dei fatti.
TRASMISSIONE DEI FATTI
Meccanismi psico-sociali nella trasmissione dei fatti percepiti ed eventuali deformazioni per adeguarli agli stereotipi culturali.
Il soggetto:
ASPETTO MEDICO
Alterazioni biologiche
Spiegabilità di ordine biologico dei fenomeni.
Nesso tra malattia mentale e possessioni diaboliche.
Distinzione tra malattia mentale che coinvolge tutta la personalità e disturbi monosintomatici.
Distinzione tra malattie mentali e dinamiche psicologiche:
Nelle malattie mentali sono implicate dinamiche psicologiche, ma non tutte le dinamiche psicologiche, anche se determinano reazioni strane, sono inquadrabili come malattie mentali.
ASPETTO PSICOLOGICO:
Genesi del fenomeno nel vissuto del soggetto e nell'interpretazione dei familiari
Vissuto del soggetto nel corso delle vere o presunte possessioni diaboliche.
Personalità e vissuto dell'esorcista negli interventi contro il demonio.
* I religiosi che praticano gli esorcismi, presentano caratteristiche di personalità peculiari, diverse da quella degli altri?
* Qual è la loro concezione della religiosità ed il loro modo di viverla?
* Quali sono le motivazioni personali che li hanno portati alla pratica dell'esorcismo?
* Attribuzione di poteri ricevuti dalla Chiesa e auto attribuzione di poteri.
Interazione tra il posseduto e l'esorcista nella formazione delle manifestazioni.
Fenomenologia delle possessioni diaboliche.
* La personalità dell'ossesso
* Mutamenti nelle relazioni familiari e sociali nel corso e dopo l'ossessione diabolica.
ASPETTO PARAPSICOLOGICO
ASPETTO RELIGIOSO
La religiosità prima, durante o dopo l'ossessione diabolica
Le interpretazioni:
IL PUNTO DI VISTA DEL TEOLOGO
IL PUNTO DI VISTA DEL SOCIOLOGO
IL PUNTO DI VISTA DELLO PSICOLOGO
Teorie psicologiche nella spiegazione dell'ossessione.
Significato relazionale della possessione diabolica
La possessione diabolica come forma di linguaggio.
Come spesso si costruisce una possessione diabolica:
In questo contesto sarà riferito un modello di interpretazione emerso dalla numerosa casistica (diverse centinaia) approfonditamente studiata presso l'ISPASA nel corso di 40 anni; si tratta di casi inviati all'ISPASA prevalentemente da religiosi ai quali si erano rivolti; alcuni all'inizio di manifestazioni che facevano pensare a possessioni diaboliche, altri dopo una trafila più o meno lunga di esorcismi.
Gli interventi:
Incidenza sul soggetto e sul contesto sociale dei vari tipi di interventi:
DI ORDINE RELIGIOSO
DI ORDINE PSICOLOGICO
DI ORDINE SOCIALE
DI ORDINE MAGICO
Interventi per la prevenzione
della dispersione scolastica
Nel corso degli interventi presso le scuole dell’ob-bligo, il nostro Istituto si è occupato dei problemi della dispersione scolastica, nei limiti di quanto era richiesto dai capi d’istituto.
In seguito il problema è stato espressamente affrontato in due diverse circostanze:
Indagine condotta a Siracusa
La relazione delle indagini eseguite sono state redatte in sei volumi, uno contenente i dati generali messi a confronto come descritto in seguito e cinque volumi coi dati riferiti alle singole scuole ed ai singoli alunni.
Riproduciamo, per maggior esattezza, la prima pagina del volume riguardante i dati generali:
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
In un incontro, avvenuto il 23 marzo 1993, tra i Direttori Didattici del 1°, 4° e 9° circolo, i Presidi delle scuole medie Von Platen e Ortigia, l'Ispettore Dott. Giuseppe Valenti e il Direttore dell'ISPASA Prof. Luigi Minio, si è concordato di condurre una ricerca sull'adattametnto psico-sociale degli alunni di cinque istituti di Siracusa compresi nel 59° Distretto Scolastico, nel quadro di studio sulla problematica della dispersione scolastica.
Il lavoro ha avuto inizio il 14 aprile seguente con una riunione di tutti gli insegnanti interessati, nel corso della quale il Prof. Minio ha esposto le finalità del lavoro ed ha illustrato le modalità di raccolta dei dati da parte degli insegnanti nelle rispettive classi. Nella stessa circostanza è stato consegnato ai capi degli istituti il materiale occorrente corredato dalle istruzioni per una corretta applicazione delle tecniche.
I dati raccolti sono stati consegnati all'ISPASA il 20 maggio seguente.
L'elaborazione computerizzata è avvenuta presso la sede dell'ISPASA con programmi messi a punto per i fini specifici dal Dott. S. Zerbo.
Nelle pagine seguenti sono esposti i risultati emersi, sia riferiti all'intera popolazione scolastica, raggruppata per istituti, per classi parallele e per singole classi, sia i profili dei singoli alunni, nei quali sono messi a confronto i dati provenienti dalle varie fonti.
Per ciascun istituto sono stati evidenziati i casi dei ragazzi a rischio.
Interventi presso
gli Istituti Professionali di Stato
Gli interventi più significativi attuati nelle scuole in questi ultimi anni sono stati in favore degli istituti professionali di stato, dal 1994 al 1999, condotti nell’ambito dei programmi finanziati coi Fondi Sociali Europei.
Gli istituti presso i quali abbiamo operato sono stati:
Agrigento, IPSSCT “N. Gallo”
Alcamo, IPSA
Catania, IPSA “P. L. Deodato”
Catania, IPSIA “E. Fermi”
Favara, IPSSAR “G. Ambrosini”
Favara, IPSIA “G. Marconi”
Gela IPSIA “E: Fermi”
Giarre, IPSSS “A. Sabin”
Giarre, IPSSAR “G. Falcone”
Marsala, IPSA
Partinico, IPSA
Piazza Armerina, IPSSS
Sciacca, IPSSAR “G. Molinari”
Valguarnera, IPSC
Vittoria, IPSIA
Gli incontri hanno comportato annualmente la gestione di uno o più moduli per ciascun istituto dove operavamo; ai singoli moduli partecipavano sei insegnanti per un periodo di 120 ore (negli ultimi anni ridotte a 90) distribuite nel corso dell’anno scolastico.
Negli incontri si elaboravano e si discutevano approfonditamente programmi da attuare in classe, atti a motivare gli alunni allo studio e a rendere più efficace l’insegnamento, mediante particolari tecniche d’intervento e il costante nesso tra gli argomenti da studiare e realtà quotidiana; seguivano le verifiche di quanto raggiunto, tenendo anche conto dei commenti espressi dagli stessi alunni, riguardanti il loro gradimento sulle innovazioni messe in atto.
I risultati delle esperienze realizzate sono stati pubblicati nel volume: Interventi per il contenimento della dispersione scolastica pubblicato nel 1995 ed in seconda edizione nel 1997; successivamente sono stati sintetizzati nel n.32 della Rivista Biopsyche: Dal dovere di imparare al piacere di conoscere – idee e proposte per una scuola maestra di vita ed ora li riproponiamo a pag. 325 di questo volume.
Nel corso degli incontri, esponendo le possibili tecniche da utilizzare in classe, non era raro notare facce perplesse di docenti; pensando agli inutili sforzi da loro compiuti per ottenere un briciolo di attenzione da alunni interessati a tutt’altro, prima o poi, più o meno sommessamente, si lasciavano sfuggire una domanda: «Ma voi, avete mai insegnato in un istituto professionale?»
In effetti si trattava di una esperienza mai avuta direttamente, finché non si presentò l’occasione propizia, colta entusiasticamente: la proposta al Direttore dell’ISPASA di tenere corsi, come esperto esterno, in istituti professionali per i servizi sociali sulle “Tecniche dell’accoglienza”.
L’esperienza fu provvidenziale e vale la pena accennarne, poiché ha dato l’opportunità di verificare sul campo metodologie da noi sul piano teorico ripetutamente esposte.
Corsi su “Tecniche dell’accoglienza”
Nei vari corsi rivolti agli insegnanti, avevamo ripetutamente insistito su due assiomi, da noi considerati basilari:
Non vi è motivazione efficace se non è legata ad interessi personali e non vi è ricaduta sulla vita quotidiana attuale (la formula di rito: Ti servirà per la vita! Ha scarso successo).
Non vi è apprendimento stabile se non è agganciato ad una conoscenza precedente, che bisogna opportunamente fare emergere.
Nell’esposizione che segue mostreremo come abbiamo realizzato le due condizioni citate.
Per motivi di chiarezza e di sinteticità, esponiamo schematicamente le varie tappe:
1° Inizio del corso e socializzazione
Iniziando il corso i ragazzi sono stati invitati a mettere i banchi in cerchio; lo scopo era di comunicare che avremmo fatto qualcosa di non convenzionale, diverso dal modo in cui erano abituati nelle lezioni cattedratiche.
È stato quindi chiesto agli alunni di presentarsi comunicando, oltre alle generalità, il luogo di provenienza, gli studi fatti in precedenza, le aspirazioni, i progetti e quanto altro reputavano opportuno far conoscere.
Esaurite le presentazioni, sono stati invitati ad intervistare il docente ponendogli qualsiasi domanda che non fosse di carattere strettamente personale.
Infine è stato distribuito un questionario dove potevano annotare le informazioni già fornite, altri dati utili ai fini del corso e in ultimo, esprimere il loro pensiero sulle aspettative nutrite nei riguardi degli insegnanti: Ai miei professori vorrei dire …
2° Creazione della motivazione
Si è iniziato col chiedere cosa immaginassero su quanto avremmo fatto, sui contenuti del corso ed a parlare delle loro attese.
Agganciandoci a quanto da loro detto, abbiamo proseguito con un discorso del tenore seguente:
Come avete anche espresso nei questionari compilati, non tutti farete gli operatori sociali, tutti, però, avrete nella vita dei contatti sociali e immagino reputiate importante dare una buona immagine di voi.
Chi di voi non vuol dare una buona impressione e rendersi gradevole a una ragazza o un ragazzo o - più in generale - ad una persona che per un qualsiasi motivo v’interessa?
La capacità di avere successo nei rapporti sociali è un’arte che si può possedere in misura diversa: chi la possiede la può sempre affinare, chi non la possiede la può acquisire; è proprio questo ciò che ci prefiggiamo col corso che stiamo iniziando.
Pensate che la cosa v’interessi?
Cominceremo col vedere,- per ciascuno di voi, come spontaneamente fareste e quindi in che misura già possedete quest’arte; vedremo poi come poterla sviluppare.
3° Gioco dei ruoli
Al centro dell’aula è stato posto un tavolo con due sedie e gli alunni, due per volta, sono stati invitati a simulare il primo incontro tra un ipotetico utente che esponeva un suo problema e un operatore sociale.
La simulazione era ripresa con la telecamera, curando anche i primi piani che mettessero in risalto le espressioni del viso, i movimenti delle mani, …; i colleghi erano invitati contemporaneamente a calarsi nei panni dell’utente e ad annotare su un foglio a ciò predisposto gli stati emotivi che avvertivano nel corso degli interventi dell’operatore.
Alla fine di ogni simulata si faceva un breve commento, nel corso del quale il docente esponeva i concetti teorici che potevano avere una connessione con quanto emergeva dai colloqui.
Dopo un certo numero di scene rappresentate, il docente faceva una esposizione più organica sulla tipologia di interventi dagli alunni spontaneamente messi in atto e si passava alla visione delle registrazioni, soffermandosi per illustrare i singoli interventi, analizzarne le modalità, confrontarli coi vissuti suscitati nell’utente e nei colleghi, proporre alternative atte a migliorarli e stabilendo costantemente il nesso coi principi teorici espressi.
Si sceglieva quindi la scena più rappresentativa e si proponeva di ripeterla, questa volta col docente che faceva da operatore; successivamente il docente stesso spiegava i motivi e la dinamica dei singoli interventi messi in atto, sempre alla luce dei concetti teorici espressi.
Si riprendevano quindi le simulate fino a coinvolgere tutti gli alunni.
4° Esposizione sistematica
Esaurito il girone di andata, il docente faceva notare come il programma era stato già svolto con la loro collaborazione attiva; non restava altro che mettere le idee in ordine, ripresentandole in modo sistematico e con un criterio logico.
A questo punto distribuiva un foglio in cui vi era uno schema della trattazione e si passava alla spiegazione organica del programma stesso, che non rappresentava più una novità, essendo stato trattato a partire dagli spunti che loro stessi avevano fornito nelle simulate.
5° Verifica delle acquisizioni
Completata la trattazione sistematica, sono state riprese le simulate invertendo i ruoli: gli alunni che avevano simulato l’utente rappresentavano la parte dell’operatore e viceversa.
In questo secondo girone agli alunni furono distribuite delle schede nelle quali dovevano annotare loro stessi i tipi d’interventi e la valutazione sulla modalità di attuazione; ad ogni simulata, seguiva la discussione nella quale verificavano la bontà delle loro osservazioni.
Il gradimento da parte degli alunni è stato notevole ed anche il profitto è stato più che soddisfacente.
Esponendo l’esperienza ai professori coi quali lavoravamo, si è levato un coro unanime: Va bene, ma era la materia che si prestava ad un’impostazione del genere; provi con la matematica!
Abbiamo raccolto la provocazione come una sfida e l’estate seguente abbiamo organizzato presso la nostra sede un corso di recupero per studenti di un plesso di periferia di un istituto professionale alberghiero, promossi con debito formativo in matematica.
Corso di recupero in matematica
D’accordo coi professori e con la presidenza, i ragazzi del primo biennio dell’Istituto Alberghiero, sezione di Monte Po, una ventina di alunni promossi col debito formativo in matematica, sono stati convogliati, nel periodo estivo, al nostro Istituto per seguire un corso di recupero; da parte nostra è stata un’attività svolta a titolo di volontariato e coordinata personalmente dal Direttore.
Espletata la fase di socializzazione, si è introdotto il discorso sull’utilità della matematica e sulle difficoltà che, di fatto, incontravano.
1° Creazione delle motivazione e rimozione dei pregiudizi
Sollecitati a parlarne, tutti si sono trovati d’accordo nell’affer-mare che lo studio della matematica era perfettamente inutile nella vita corrente, specie con l’introduzione delle calcolatrici tascabili; non è valsa a modificare le posizioni l’osservazione che la calcolatrice poteva facilmente essere dimenticata, mentre la testa ordinariamente era un accessorio fisso, in dotazione di serie.
Proseguendo la discussione in un contesto brioso, addivennero a qualche concessione, sia pure con due limiti ben precisi:
Si, alcune nozioni potevano anche essere utili, ma certe astruserie a cosa potevano servire, se non a complicare la vita?
Anche ad avere una qualche utilità, cosa potevano farci se non capivano nulla, dando i professori per scontate delle conoscenze che scontate non erano?
Riferendosi alla seconda domanda, il docente ha dato pienamente ragione facendo notare come la difficoltà di capire non dipendeva per nulla da una loro incapacità, ma proprio, come loro stessi affermavano, alla mancanza di conoscenze precedenti. Li ha quindi ampiamente rassicurati dicendo che ora non si dava niente per scontato e che su questo potevano stare tranquilli: saremmo partiti dal presupposto che potevano non saper nulla dei programmi passati.
Per quanto riguardava la prima domanda, il docente ha proposto un gioco:
Ha fatto disporre i tavoli simulando un esercizio che comprendeva tre settori: ristorante, pizzeria e bar. Ha, inoltre, diviso i ragazzi in tre gruppi: gestori, fornitori e clienti, distribuendo fotocopie di banconote ai clienti e di cambiali ai fornitori, per simulare rispettivamente gli incassi e le spese d’approvvigionamento.
Si è quindi passato alla simulazione dell’attività, annotando dettagliatamente i movimenti fino a giungere al risultato finale della giornata, aiutandosi a vicenda, attraverso laboriose operazioni alla femminina.
Finiti, come Dio volle, i conteggi, il docente chiese di descrivere i singoli movimenti di ogni tavolo e li tradusse in un’unica espressione matematica; facendo appello alle loro sbiadite reminiscenze, li invitò a risolverla spiegando i vari passaggi.
Con loro stupore il risultato finale coincise con la cifra alla quale erano giunti attraverso i loro procedimenti empirici.
2° Ricerca dei prerequisiti
Dagli annaspamenti e dagli interventi nel risolvere l’espressione matematica si era potuto costatare come i livelli non fossero assolutamente omogenei.
L’équipe che si occupava del recupero, elaborò una lista di circa quaranta prerequisiti fondamentali, senza i quali sarebbe stato impossibile affrontare qualsiasi argomento matematico di una certa complessità e si strutturò una prova d’ingresso composta da altrettanti piccoli esercizi, di difficoltà crescente, ognuno dei quali supponeva la conoscenza di una determinata nozione fra quelle elencate.
In questo lavoro si è rivelata preziosa la collaborazione della maestra Marinella, con a suo attivo qualche decennio di coscienzioso insegnamento.
3° Carrellata sulla panoramica delle carenze
I risultati ottenuti sono stati disposti in un tabella a doppia entrata: in verticale i nomi degli alunni, in orizzontale i numeri degli esercizi e il risultato finale. La tabella permetteva di vedere – a colpo d’occhio – quanti e chi avevano avuto difficoltà per ciascun esercizio e quindi presentavano la non conoscenza della regola corrispondente.
Sulla scorta di questi dati è iniziata la spiegazione sistematica dei punti in cui si erano manifestate le carenze, rivolgendosi particolarmente agli alunni che le presentavano.
4° Interventi selettivi
Finita la carrellata, a ciascun alunno selettivamente è stato consegnato un blocco di schede; in ciascuna di esse un esercizio che aveva sbagliato, ovviamente implicante la stessa regola ma coi valori numerici diversi.
Essendo differente il numero di fogli per ciascun alunno, chi finiva prima usciva dall’aula per svolgere altre attività.
Sulla scorta dei nuovi risultati la tabella a doppia entrata veniva aggiornata segnando con colore diverso gli esercizi indovinati la seconda volta e si ripeteva la spiegazione per gli esercizi corrispondenti alle colonne in cui ancora apparivano delle lacune.
Si procedeva quindi consegnando nuovi blocchi di schede, fino a quando tutti gli alunni erano riusciti a svolgere tutti gli esercizi.
Era bello vedere alunni che si consideravano, loro stessi, negati per la matematica, manifestare entusiasmo al vedere il numero delle schede loro consegnate che si andava assottigliando.
L’entusiasmo si rivelò contagioso e ben presto si venne a creare un clima di euforia toccando con mano che in fondo la matematica non era la bestia nera che avevano sempre considerato.
5° Nessi con la vita quotidiana
Ciascuna regola che si andava spiegando, veniva messa in connessione con una qualche situazione della vita corrente; particolare ilarità destò la spiegazione della scomposizione di un numero in fattori primi.
Al momento opportuno, il docente tirò fuori dal frigorifero una torta gelata e – trattandosi di alunni di un istituto alberghiero – li invitò a dividerla in 24 parti, quanti eravamo.
Si fece avanti il più intraprendente e con la paletta cominciò a fare i segnali sul bordo per porzioni uguali, ma di dimensione definita arbitrariamente; ne risultarono 15 porzioni e ricominciò l’operazione ipotizzando pezzi più piccoli, ottenendone 26. Qualcuno dei presenti lo stimolò ad aggiustare più rapidamente il tiro, se non voleva che dovessero sorbirla con la cannuccia, tenendo conto del caldo estivo.
Intervenne il docente scrivendo alla lavagna 24 e invitandoli a procedere alla scomposizione in fattori primi:
24 2
12 2
6 2
3 3
1
Invitò quindi a dividere la torta in 2, ciascuna parte in 2, ciascuna parte in 2 e ancora ciascuna parte in 3; li invitò quindi a contare i pezzi: proprio 24!
L’ilarità toccò il culmine e ciascuno si precipitò a prendere il suo pezzo esclamando: Putenza di la matematica!
Espedienti del genere, sistematicamente ripetuti, li confermarono nell’idea che in fondo la matematica serve a qualcosa - anche se inizialmente sembra che si tratti di cose astruse - e che in fondo non sono cose incomprensibili.
6° Risultati ottenuti
Il risultato finale fu per noi gratificante; da quanto abbiamo ufficiosamente saputo, alla rispresa dell’anno scolastico, tutti recuperarono il debito.
Qualche tempo dopo, il Direttore andando all’Istituto Alberghiero, si vide correre dietro un alunno che urlava: Professore, professore, ho recuperato in matematica con 7!
Sarà infantile, ma per noi sono le piccole soddisfazioni che compensano l’entusiasmo e l’amore con cui ci dedichiamo alla nostre attività.
Le esperienze da noi realizzate nelle scuole, sia coi docenti, sia con gli alunni, hanno permesso di perfezionare i nostri interventi e hanno suggerito utili spunti di riflessione per nostri corsi di metodologia del lavoro mentale, dei quali parleremo nel capitolo seguente.