3. La Valutazione

 

L’argomento in ambito scolastico si presenta estremamente complesso, sia perché mancano validi criteri oggettivi di valutazione sia perché non appare sufficientemente chiaro che cosa valutare e qual è il fine della valutazione.

La problematicità della valutazione appare più evidente oggi, sia in rapporto alla maggiore complessità del sistema educativo che vede nelle scuole - e non soltanto in quelle dell’obbligo - un elevato numero di studenti provenienti da ambienti socioculturali profondamente diversi, sia in rapporto all’ampliarsi dei programmi scolastici (arricchimento dei programmi nazionali, presenza di più insegnanti nella classe fin dalle scuole elementari, inserimento di curricoli aggiuntivi, come educazione stradale, ambientale, civica, specifiche attenzioni di natura trasversale, come l’educazione alla salute, l’orientamento, la continuità educativa), sia al diffondersi di informazioni attraverso i mezzi di comunicazione di massa di cui non si può ignorare l’influenza sui giovani specialmente nel fornire idoli, modelli e mode a cui acriticamente un numero sempre più elevato di adolescenti si adegua.

Nella “vecchia scuola” – se si eccettua la ricerca di correttezza e di equità di giudizio - la valutazione non si poneva come problema né per il docente, né per il sistema scolastico; era chiaro che ad essere valutato era l’alunno, che il fine della valutazione era la promozione o la bocciatura, che il giudizio dell’insegnante era basilare e solo eccezionalmente discutibile. In questo contesto, l’aspetto soggettivo del giudizio era fortemente sottovalutato.

Parlare oggi di valutazione nella scuola significa estendere il significato stesso del termine e considerare il suo effetto in un prospettiva sistemica che supera l’ambiente propriamente scolastico per estendersi ad ambienti più ampi.

La valutazione, il giudizio, il pregiudizio sono atti che si svolgono in più contesti, che riguardano la vita quotidiana e che - direttamente o indirettamente – la influenzano.

In ogni contesto siamo valutati e facciamo a nostra volta delle valutazioni. Il bambino in famiglia viene valutato sia globalmente come buono, cattivo, ubbidiente, ribelle ecc., che e in relazione alla presenza o assenza di certe abilità e / o attitudini. Dalle valutazioni che egli subisce nascono delle controvalutazioni rivolte agli adulti (ritenuti buoni o cattivi, giusti o ingiusti), che rappresentano in un certo senso la risposta alle prime e che nell’ambito di un movimento circolare, rappresentano stimoli che confermano o negano le precedenti valutazioni.

La valutazione nella vita quotidiana genera un feedback che ci permette di modificare le nostre azioni, in virtù di quello che vogliamo raggiungere e di modificare totalmente o parzialmente i nostri obiettivi e/o le nostre strategie di intervento, quando ci accorgiamo che gli obiettivi non sono raggiungibili o che le strategie sono poco funzionali

In contesti in cui si stabiliscono relazioni durature e in cui esistono ruoli diversi, alcuni dei quali rivestiti di autorità, la valutazione negativa o positiva su alcuni soggetti, specialmente se in età evolutiva, interferisce con la formazione dell’immagine di sé in rapporto all’autostima e all’autoefficacia. Questo, in un contesto educativo – come quello scolastico - investe di notevole responsabilità l’educatore che - per essere valido - deve rendere l’atto valutativo un adeguato strumento di crescita; far sì che il ragazzo, riconoscendo in se stesso eventuali deficit o particolari abilità, sia in grado di proseguire lo sviluppo, recuperando il deficit e potenziando le abilità, riconosciute e valorizzate, senza che sia ostacolato lo sviluppo armonioso della sua personalità.

In altri termini, la funzione della valutazione deve essere essenzialmente pedagogica; non può essere circoscritta all’aspetto retributivo o ad una constatazione di merito.

In ambito clinico ci è data la possibilità di vedere come ragazzi, ipervalorizzati dai docenti, confondono - anche a causa di relazioni familiari problematiche - il valore legato all’essere persona con il valore legato a ciò che si è in grado di produrre. Pertanto iniziano una sfida (che li vede in ogni caso perdenti) in cui devono costantemente superare gli altri e se stessi per essere sempre i primi e in virtù di questo stimati ed amati.

Questa sfida può portare alla comparsa di disturbi neurovegetativi, psicosomatici o depressivi che giustificano il mantenimento costante o il calo del loro rendimento scolastico; in alcuni casi il successo può diventare sempre più elevato ma a scapito della vita affettiva e di relazione del ragazzo, in altri casi si può avere un crollo improvviso con imprevedibili cadute di interesse e di profitto e il conseguente ritiro dalla scuola.

In ambito scolastico la valutazione avviene reciprocamente tra insegnanti e alunni.

Alunni che sentono di essere valutati (valutazione passiva) in modo negativo e non rispondente all’immagine che hanno di sé danno a loro volta una valutazione sugli insegnanti (valutazione attiva) qualificandoli come cattivi o incompetenti: questo gioco di valutazioni innesca un processo interattivo negativo che può avere conseguenze spiacevoli non solo per il sottogruppo in questione (alunni valutati negativamente e insegnanti), ma anche per tutta la classe. Ciò si verifica particolarmente quando ci si trova di fronte ad alunni ribelli e in grado di assumere il ruolo di leader, seppur negativi, nei confronti della classe.

Con alunni più chiusi, deboli, passivi, si può realizzare un blocco determinato dalla valutazione negativa esterna che diventa autovalutazione negativa, con caduta dell’autostima opposizione passiva, disimpegno, abbandono.

In un sistema complesso come quello scolastico oggetto della valutazione non possono, quindi, essere soltanto gli alunni, ma deve estendersi anche agli insegnanti; se è necessaria una valutazione finale per decidere l’idoneità alla promozione dell’alunno, ai fini formativi è certamente più importante una costante valutazione in itinere, che fornisca indicazioni su come l’alunno sta recependo il messaggio educativo e didattico in termini comportamentali e di apprendimento e su come il docente sta trasmettendo i suoi messaggi. Questo permette di adeguare gli interventi alla capacità di ricezione della classe e dei singoli elementi.

Ciò presuppone una diversa cultura della valutazione che diventa un momento fondamentale di riflessione dei docenti su se stessi, sul proprio operato, sulla realtà in cui si opera, sugli effetti ottenuti al fine di programmare o riprogrammare le attività didattiche per renderle più efficaci ed adeguate. Non può esserci una programmazione adeguata senza un’adeguata valutazione intesa in termini sistemici.

Se il docente è in grado di mettere in atto un processo di autovalutazione, da solo o con i colleghi con cui è coinvolto in attività interdisciplinari e di comprendere e rispondere in modo flessibile alle retroazioni degli alunni, può fare della valutazione un momento fondamentale del processo formativo sia comunicando ai ragazzi i processi che portano alla valutazione, sia insegnando loro come autovalutarsi e orientarsi; una simile disposizione può portare più facilmente gli alunni a prendere coscienza delle proprie capacità ed attitudini, ma anche delle difficoltà che incontrano globalmente nell’impatto col sistema scolastico e nelle singole discipline per trovare il modo di risolvere le difficoltà stesse, vivere serenamente le relazioni nell’ambito della classe e soprattutto per imparare ad imparare.

In questa prospettiva la polemica sull’opportunità del voto si supera spostando l’attenzione dal voto in se stesso a ciò di cui il voto è espressione ed agendo su questi fattori per apportare i correttivi consequenziali.

La valutazione diventa in questo modo un processo di cooperazione che vede insegnanti e alunni, uniti in un fine comune: maturare insieme e potenziare le capacità e le attitudini della classe e degli alunni, facendo sì che non venga temuto il giudizio dei docenti e che venga evitato il pregiudizio degli uni nei confronti degli altri.

Guardando la valutazione con l’ottica della cooperazione sì vanificano i trucchetti messi in atto dai ragazzi per fregare gli insegnanti e le strategie dei docenti per sorprendere l’alunno impreparato.