2.4 PROCESSO TERAPEUTICO IN SENSO STRETTO.

 

A rigore, tutto il rapporto che l'utente istaura con l'Istituto fa parte del processo terapeutico, dalla telefonata per fissare il primo appuntamento al commiato.

Le tre fasi precedenti fanno quindi parte di questo processo.

Nelle pagine seguenti descriveremo nelle grandi linee il punto di vista integrazionale da noi seguito nel trattamento di molti casi.

Nella nostra prassi, a volte andiamo avanti fino in fondo con questo orientamento, altre volte, al momento opportuno ci inseriamo con altre tecniche, cambiando operatore se è il caso.

Per quanto il sistema terapeutico da noi proposto sia da considerarsi una tecnica a largo spettro, non meno degli altri presenta molti limiti e spesso è da noi usato solo come fase preparatoria ad altri interventi specifici.

La descrizione che seguirà, semplificata al massimo, intende solo accennare ai principi ispiratori, non certo alle modalità concrete di attuazione che sono molto più complesse di quanto non possa apparire dalla lettura di queste pagine.

Limiteremo, inoltre, gli accenni agli orientamenti generali, omettendo volutamente ogni riferimento alle applicazioni nelle singole forme di disagio o a sintomatologie specificamente strutturate, per non creare confusione e non appesantire ulteriormente la mole già consistente del presente lavoro.

Ci riproponiamo di dare sempre maggiori dettagli nei prossimi numeri della rivista Biopsyche.

I principi generali ai quali il nostro sistema d'intervento si ispira prendono le mosse dal livello cognitivo e si possono compendiare in due:

- Puntualizzazione costante dell'obiettivo che si vuole raggiungere.

- Adeguamento del comportamento dell'individuo all'obiettivo focalizzato.

Non è casuale l'analogia con i criteri che quasi un secolo fa W.James (1909) poneva come caratterizzanti l'atto psichico: tendenza ad un fine e scelta di mezzi adeguati per il suo raggiungimento.

I primi barlumi della vita psichica si possono ravvisare in un organismo che si orienta ad un fine e lo persegue mettendo in atto le risposte più idonee al suo raggiungimento; la massima espressione dello psichismo più evoluto, si estrinseca pienamente quando l'uomo maturo è in grado di operare delle scelte coerenti con tutte le sue esigenze ed in armonia con quanto lo circonda e riesce a mettere in atto i comportamenti più adatti al loro raggiungimento.

Si tratta degli stessi caratteri indicati da A.Ellis (1981, p.220) come criteri per definire un comportamento come "razionale".

 

24.1 PUNTUALIZZAZIONE COSTANTE DELL'OBIETTIVO.

Riprendendo quanto espresso nella prima parte, l'obiettivo al quale il processo terapeutico tende è, in linea generale, ampliare lo stato di benessere, inteso come integrazione.

Questo concetto generale deve essere calato nella situazione concreta del soggetto; è lui stesso che deve decidere ed aver chiaro quale debba essere il suo stato di benessere.

La ricerca del proprio stato di benessere segue molto da vicino il concetto di formazione dell'ideale dell'Io.

Nella nostra prassi terapeutica diamo molto spazio alla strutturazione di un proprio ideale che nel corso del trattamento si va facendo sempre più definito, aderente alla realtà ed integrato.

Non è agevole dare in poche pagine un'idea chiara e completa di ciò che comporta la strutturazione dell'ideale dell'Io come obiettivo a cui orientare la terapia (1).

Possiamo in questa sede semplicemente indicare alcuni punti di riferimento da tenere costantemente presenti nel corso del trattamento.

L'enumerazione che segue intende essere semplicemente esemplificativa non esaustiva.

241.1 Ridimensionamento delle reazioni emotive.

I primi ostacoli che con frequenza si frappongono alla puntualizzazione dell'obiettivo sono gli stati emotivi particolarmente intensi ed eventuali pregiudizi od informazioni errate.

Gli stati emotivi intensi comportano una reattività abnorme, scarsamente finalizzata, con inibizione delle funzioni sensoriali, a qualcosa che viene percepito come un pericolo grave, imminente e vagamente definito.

Con frequenza i familiari od altre persone più o meno coinvolte, specialmente se il sintomo è funzionale al mantenimento di una certa omeostasi familiare o ambientale, fanno da "cassa di risonanza" contribuendo ad ingigantire l'allarme. Il loro atteggiamento suole essere quello di richiamare l'attenzione sul problema con una carica emotiva discordante col messaggio che intenzionalmente si vorrebbe comunicare; volendo schematizzare per rendere più comprensibile il concetto, avviene come se di fatto si stesse comunicando: non devi preoccuparti perchè la cosa non è grave, ma noi stessi siamo molto preoccupati. Di questo messaggio contraddittorio, il soggetto recepisce: mi dicono che la cosa non è grave per non farmi preoccupare, ma se loro stessi si preoccupano vuol dire che la cosa è molto grave.

L'atteggiamento dell'operatore non deve ovviamente ricalcare quello messo in atto dall'ambiente e che l'esperienza ha dimostrato dannoso; deve piuttosto creare una situazione relazionale nella quale il modo di porsi difronte al disagio sia sostanzialmente diverso ed atto a farlo percepire come un problema da risolvere e non più come un disastro fatalmente incombente.

Il messaggio che l'operatore invierà dovrà anch'esso presentare un duplice aspetto, non contraddittorio come il precedente ma complementare: mostrare di capire empaticamente il dramma che il soggetto vive sintonizzandosi col suo stato emotivo, ma nello stesso tempo dimostrare attraverso le espressioni prevalentemente non verbali che non si è preoccupati per il problema in se stesso di fronte al quale si assume un atteggiamento fiducioso. Se la sintonizzazione con lo stato emotivo è riuscita, l'utente la estende all'altra parte del messaggio, come volendo dire a se stesso: se l'operatore, che ha veramente capito il mio stato, è fiducioso, anch'io posso esserlo.

Insistiamo nella comunicazione non verbale perchè questa modalità elude più facilmente le difese e si rivela utile soprattutto quando si ha motivo di ipotizzare delle resistenze alla guarigione.

Nel caso in questione, il messaggio non verbale, attraverso la aspecificità che lo caratterizza, comunica semplicemente: il tuo stato di sofferenza potrà essere alleviato; ciò non provoca certo resistenza poiché non aggiunge: modificando qualcosa della tua vita, cosa che potrebbe mettere sulle difensive.

Il successivo atteggiamento dell'utente non sarà più dominato dalla sensazione di panico ma diventerà collaborativo nella ricerca di una possibile soluzione.

Solo a questa condizione si potrà intraprendere un proficuo lavoro sull'obiettivo a cui tendere.

Questo modo di procedere non è però esente da rischi poiché potrebbe far cadere in una trappola che l'utente, sia pure in modo inconscio, con molta frequenza tende anche al terapeuta.

La fatalistica convinzione, che il protagonista del "Gattopardo" esprimeva in campo sociale, è ancora più vera in campo psicologico: è necessario che qualcosa cambi perchè tutto resti come prima.

L'utente, a livello personale e con frequenza nell'interazione con l'ambiente, ha strutturato una certa omeostasi patologica che per motivi vari tende a mantenere; ciò che spinge ad andare dallo psico-terapeuta è spesso un dettaglio che a lui od ai familiari procura in quel momento fastidio. A prescindere dal modo di formulare la richiesta verbale, quello che si vorrebbe è solo eliminare quell'inconveniente; un cambiamento più profondo inconsciamente suscita una certa apprensione ed è per questo che l'eliminazione del disagio immediato, quale lo stato di ansia, potrebbe portare all'interruzione del trattamento.

Il dovere dell'operatore deve essere quello di soddisfare le richieste dell'utente ma, per rendergli certamente un buon servizio, lo si dovrà mettere in condizioni di fare una scelta pienamente cosciente; il compito dell'operatore è quindi, non solo di prendere atto delle richieste esplicite, ma di interpretare anche quelle implicite aiutando l'utente a superare le resistenze inconsce.

Per questo motivo, parallelamente all'aiuto nel superare gli stati emotivi immediati, il terapeuta deve condurre l'utente alla presa di coscienza di quello che un suo equilibrio stabile richiede e di continuare il trattamento finché non l'abbia raggiunto.

A questo proposito è utile accennare ad un altro rischio che frequentemente si corre quando il superamento del disagio immediato coincide con un appuntamento differito.

Può capitare, per motivi puramente accidentali, connessi con esigenze dell'operatore o dell'utente, che la data di un appuntamento si debba differire per un certo tempo; se ciò coincide con una momentanea remissione del sintomo che ha spinto ad andare dal terapeuta, accade facilmente che l'utente interrompa il trattamento.

Sarebbe buona norma che, nelle fasi più critiche, per quanto possibile, la singola seduta si concluda lasciando in sospeso qualche argomento che costituisca una motivazione perchè l'utente ritorni e che si fissi l'appuntamento con una scadenza ragionevolmente breve.

241.2 Critica delle convinzioni irrazionali.

Altro aspetto che di solito impedisce una retta puntualizzazione degli obiettivi è la presenza di convinzioni irrazionali.

Un adeguato lavoro di chiarificazione è la premessa indispensabile per la prosecuzione del trattamento.

Si tratta di un lavoro spesso delicato e complesso perchè comporta una profonda comprensione del contesto familiare e culturale dell'utente e dei meccanismi che hanno portato alla formazione dei pregiudizi stessi. Ci si potrebbe imbattere in resistenze difficilmente sormontabili sul piano razionale e che dovranno essere opportunamente affrontate prima di andare avanti.

241.3 Destrutturazione degli schemi precedenti.

Ogni persona che vive uno stato di disagio solitamente ha messo in atto vari tentativi per superarlo: spesso vi si è accanita tenacemente fino a giungere all'estenuazione ed alla sfiducia nelle proprie possibilità.

L'accanimento in un certo tipo di tentativi è imperniato e sostenuto da un modello di obiettivo che l'individuo più o meno confusamente si era rappresentato.

Un modello rigido rende difficile la presa in considerazione di altre alternative.

Primo scopo che l'operatore si prefigge, attraverso una serie di messaggi verbali e non verbali, è di invitare la persona a destrutturare l'eventuale modello preesistente facendo intuire la possibilità di altri più adeguati che si potrebbero prendere in considerazione.

L'invito, all'inizio, è necessariamente generico, lasciato volutamente sul vago e riguarda solo l'apertura ad altre possibili ipotesi.

Accennare prematuramente a qualcosa di esse, anche se già l'operatore fosse in grado di farlo, potrebbe semplicemente suscitare delle resistenze: l'utente, ancorato al proprio punto di vista, giudica alla luce di esso la nuova ipotesi prospettata ed in queste condizioni il giudizio non può non essere che negativo.

Anche una sollecitazione troppo scoperta alla destrutturazione del proprio punto di vista potrebbe suscitare delle resistenze per il rischio dell'insorgere dell'angoscia.

E' questa la ragione che ci spinge a valorizzare i messaggi non verbali.

Un esempio di messaggio non verbale è la configurazione della sala di attesa del nostro Istituto, accuratamente studiata nei minimi dettagli.

Essa è costituita da un corridoio che porta dall'ingresso agli studi degli operatori con un grande slargo sulla destra dove sono sistemate le poltroncine. Il corridoio è interrotto da una vetrata di circa dodici metri, che obbliga a deviare il percorso per proseguire fino agli studi; all'interno della vetrata è rappresentato un paesaggio roccioso con materiali provenienti da varie regioni (calcari, fossili, scisti, quarzi, graniti, rose del deserto...), laghetti ed animali esotici, fra i quali fa mostra di se un giovane coccodrillo.

Le poltroncine sono disposte in vari box che permettono all'utente di appartarsi, se lo desidera; in ognuno di essi è possibile ascoltare della musica od ammirare aquarietti marini con coloratissimi invertebrati tropicali. Anche nel resto dei corridoi le pareti sono intramezzate da vetrinette con composizioni di minerali ed aquari, di cui uno di ben tremila litri.

L'utente viene all'Istituto aspettandosi un convenzionale ambulatorio medico o studio professionale e si trova difronte ad un coccodrillo vivo od a squarci di mondo lontano, per lui insospettato: attraverso la metafora al suo inconscio si vuol comunicare che si trova in un luogo dove può scoprire altri aspetti della realtà e di se stesso, che può serenamente intraprendere l'esplorazione delle parti più arcaiche ed insospettate del suo essere per ritrovarci forse l'ispirazione e la sorgente di un nuovo modo di esistere.

Lo stato psichico presumibilmente evocato dall'attesa trova riscontro nell'invito personalizzato dell'operatore a seguirlo nel proprio studio e nell'accoglienza serena, pacata ed empatica.

Tutti i gesti e le parole che seguiranno saranno orientati ad incoraggiare la destrutturazione dei vecchi schemi.

241.4 Analisi del messaggio del sintomo.

Il sintomo, oltre che una spiegazione di ordine psicodinamico, ha in genere un significato di ordine relazionale.

L'utente, attraverso il sintomo, vuole sempre esprimere qualcosa, anche se spesso riesce difficile decodificare il suo messaggio.

Un'accurata analisi delle modifiche che il sintomo ha portato nella vita dell'utente e, soprattutto, dei vantaggi secondari che ha permesso di realizzare, può fare una certa luce su quelle che sono le sue esigenze più profonde, al di là di quanto verbalmente non riesca ad esprimere.

Sul piano operativo, a volte può essere opportuno iniziare l'intervento connotando positivamente qualche aspetto del sintomo, per i vantaggi che esso permette di realizzare o per altri motivi, e lasciare nello stesso tempo intravedere come gli stessi vantaggi, dei quali si riconosce la legittimità, potrebbero essere raggiunti attraverso altre vie meno penose e meno dispendiose. Questa prassi rientra nella regola fondamentale di evidenziare gli aspetti positivi e di una qualsiasi situazione prima di intervenire per modificare quelli negativi.

In ogni caso , nella focalizzazione dell'obiettivo a cui tendere, o ideale da raggiungere, deve essere preso in considerazione quanto il sintomo simbolicamente vuole attuare.

E' più difficile il superamento di un sintomo se non si riesce ad attuare per altra via ciò a cui il sintomo nevroticamente tende.

C'è anche da dire che questa attuazione può non portare automaticamente al superamento del sintomo; dei condizionamenti già radicati o particolari situazioni psicodinamiche potranno rendere ancora necessarie delle tecniche di decondizionamento od interventi ad orientamento psicoanalitico, come vedremo in seguito

241.5 Focalizzazione dettagliata dell'obiettivo.

L'utente che vive uno stato di disagio se, per certi versi, si irrigidisce in determinati punti di vista, invitato ad analizzare con esattezza i contenuti delle sue aspirazioni non riesce ad andare oltre a generiche affermazioni di voler stare bene; se si insiste per farlo scendere nei dettagli, il più delle volte elenca aspetti marginali e frammentari.

Si suole ripetere che il nevrotico è una persona che non sa quello che vuole; noi possiamo aggiungere che è l'uomo dei condizionali: se pure lo sa, sa cosa vorrebbe, non cosa vuole.

In altri termini, le aspirazioni sono velleitarie sia perchè riguardano realtà spesso contraddittorie, incoerenti od utopiche, sia perchè già frustrate in precedenti tentativi.

Focalizzare gli obiettivi significa costruire una immagine di ciò che si vuole essere che sia coerente e che tenga conto delle proprie esigenze, dei propri limiti e dei limiti imposti dalla realtà.

241.6 Focalizzazione degli obiettivi in termini positivi.

Riprendendo dei concetti già accennati, possiamo caratterizzare lo stato di disagio col restringimento della capacità di integrazione: alla realtà esterna viene negata ogni connotazione positiva e di conseguenza ci si ritira da essa restringendo il proprio campo esistenziale.

Anche se a livello cognitivo si mantiene un qualche rapporto con il mondo esterno, viene a mancare quella integrazione vissuta senza la quale ogni relazione, se pur presente, rimane isterilita.

Ne deriva una sensazione di malessere che, anche quando non si manifesta con sintomi rigidamente strutturati, comporta con molta frequenza:

- ripiegamento su se stessi, nell'affannoso tentativo di capire la propria sofferenza o nella ricerca di colpe o di mali nelle azioni più innocue;

- banalizzazione della comunicazione con gli altri, svuotandola di ogni messaggio più autentico;

- attribuzione di ogni responsabilità alla famiglia con le sue perenni incapacità od alla società con le sue continue ingiustizie;

- percezione del mondo circostante come ostile, persecutorio o canzonatorio.

Tenendo conto di questi concetti, aiutare a superare il disagio significa guidare nella scoperta degli aspetti della realtà che possano essere connotati positivamente e su dei quali modellare gli obiettivi a cui tendere.

E' del tutto ovvio quindi che questi obiettivi debbano essere puntualizzati in termini positivi.

Per andare a Roma non basta decidere di non voler andare a Milano, così non basta volersi liberare di un disagio, per raggiungere lo stato di benessere; il motivo sta nel fatto che il disagio non costituisce una entità ma solo una limitazione, come abbiamo ampiamente espresso nella prima parte.

Anche nel caso di sintomi strettamente strutturati, è poco efficace voler strenuamente combattere il sintomo stesso se non ci si costruisce una alternativa in chiave positiva che renda il sintomo superfluo, come precedentemente accennato.

 

Possiamo paragonare la situazione a quella di un bambino che ha in mano un oggetto pericoloso e non vuole cederlo; ogni buona mamma sa che bisogna dargli un altro oggetto per fargli abbandonare quello pericoloso.

Un ideale in forma negativa non può dirsi tale e non può quindi costituire un efficace polo di attrazione.

241.7 Prendere le mosse da quello che si ha, non da quello che si desidera.

Nel costruire un quadro coerente di ciò che si vuole raggiungere è opportuno partire da quello che di fatto si ha e di cui si è soddisfatti, per ampliarlo, non già da quello che semplicemente o, a volte, utopisticamente si desidera; fra l'altro, ciò che meramente si desidera non porta con sé quella certa carica che può essere costituita da una effettiva esperienza di gratificazione precedente.

Un esempio può chiarire meglio questo concetto.

Si può verificare il caso di una persona insoddisfatta che sente un gran bisogno di affetto. Se focalizza l'attenzione sul suo bisogno, l'insoddisfazione per la frustrazione vissuta aumenta ed il soggetto irradia intorno a sé il proprio disagio; ciò determina immancabilmente l'allontanamento del partner o delle persone che dovrebbero dare l'affetto. La percezione del loro allontanamento aumenta il senso di solitudine e di insoddisfazione, e così via; viene ad instaurarsi in tal modo quel feed-back che aumenta costantemente il disagio.

Il prendere le mosse da quello che effettivamente si ha può permettere di capovolgere la situazione, ristrutturare la percezione del campo ed invertire la tendenza del feed-back che alimenta il disagio: se si riesce a focalizzare l'attenzione su quel poco affetto che si pensa di ricevere si dimostra il piacere di quello che si ha; ciò produce negli altri una gratificazione per quello che hanno dato ed il bisogno di dare più affetto per essere maggiormente gratificati.

L'esempio è schematizzato fino a rasentare l'ingenuità, per far capire il concetto che vuole illustrare; nella pratica bisognerà tenere conto di altri fattori che hanno originariamente determinato l'istaurarsi del processo.

Generalizzando, la strutturazione dell'ideale a cui si vuol tendere è tanto più concreta ed attuale quanto più è ancorata sulle reali esperienze di vita che possono servire da modello o, quantomeno, da punto di partenza da cui prendere le mosse.

241.8 Valorizzazione del passato nella formazione dell'ideale attuale.

Nella formazione dell'ideale a cui tendere è indispensabile prendere in considerazione tutta la vita del soggetto per fare emergere da essa le aspirazioni più autentiche sulle quali fondare l'ideale attuale.

Anche gli eventi che potremmo considerare negativi o le esperienze traumatiche possono essere considerati in questa prospettiva e se ne può tenere conto nella formazione dell'ideale.

Gli eventi considerati negativi possono essere imputati o ad una volontà che determinatamente vuol nuocere od a fatti contingenti della realtà esterna od al proprio comportamento: si parla rispettivamente di persecuzione, di sfortuna o di errore; alla base di tale attribuzione vi è un ampio margine di soggettività, connessa con la tendenza del singolo individuo a proiettare o ad introiettare la colpa e con altri fattori di personalità.

Il modo di utilizzare questi eventi, così come sono soggettivamente vissuti, nella formazione dell'ideale dovrà essere consequenziale.

Prendendo come esempio il caso degli errori, sarà opportuno ridimensionare il senso di colpa e la conseguente depressione facendo osservare come il giudizio di errore è legato all'esperienza od alla riflessione successiva: nel momento in cui si mette in atto quel comportamento si reputa opportuno agire in quel modo per un qualche aspetto positivo che si scorge in quella prospettiva;può esserci stato un errore di giudizio dovuto alle condizioni del momento e non giudicabile alla luce di criteri adottati in momenti differenti; in ogni caso, appartiene alla condizione umana sbagliare poiché molti apprendimenti avvengono per prove ed errori; l'esperienza che porterà a migliorare il comportamento ed a creare condizioni di vita più soddisfacenti si costruisce anche sulla costatazione degli errori che, in questa prospettiva, acquistano una connotazione positiva.

La serenità data dal ridimensionamento dei sensi di colpa ed una visione della propria vita in chiave positiva è una premessa necessaria per la migliore utilizzazione dell'esperienza passata ai fini di una corretta strutturazione dell'ideale presente.

Come abbiamo visto ampiamente nella prima parte parlando della normalità, l'ideale a cui tendere non è qualcosa di obiettivamente uguale per tutti, ma un equilibrio integrato, strettamente individuale, di tutti i bisogni e le esigenze che sono andati emergendo nel corso dell'esistenza; anche in questa ottica, un accurato esame della vita passata fornisce preziosi elementi.

Ci si può imbattere in impulsi o esigenze che a prima vista non sono compatibili con un corretto e armonioso vivere sociale, come in certi casi di perversioni. Noi restiamo della convinzione che impulsi del genere costituiscono una metafora di esigenze più profonde; in questa visione compito dell'operatore non è quello di reprimerli o ignorarli, ma di scoprire e di cercare una corretta valorizzazione delle esigenze sottostanti.

Non sempre il passato è accessibile direttamente alla memoria dell'utente e sarà necessario far ricorso a particolari tecniche di esplorazione dell'inconscio; queste tecniche si rivelano a volte indispensabili anche per una retta comprensione delle esigenze attuali.

Con ciò non intendiamo slittare nelle terapie psicoanalitiche, ma semplicemente utilizzare nella nostra prospettiva terapeutica delle tecniche e dei concetti messi a punto dalla psicoanalisi.

241.9 Valorizzazione delle convinzioni sociali, religiose e politiche nella formazione dell'ideale dell'Io.

Nella vita di ogni essere umano giocano un ruolo di notevole importanza, nel processo di integrazione, convinzioni di ordine sociale, religioso o politico; non si può sottovalutare il loro potere come forze aggreganti ed il decisivo contributo nel superamento dell'egocentrismo per scoprire la ragione della propria esistenza in una prospettiva più ampia.

Purtroppo però, come in tutte le attività umane, anche le più nobili, si possono verificare delle interferenze di ordine nevrotico che ne svisano la natura al punto di ridurle a pure fonti di disagio.

In particolare, è l'aspetto religioso che più facilmente si presta a subire sollecitazioni prevaricanti, connessi con molteplici fattori. Fra di essi, a titolo esemplificativo, ne possiamo citare di tre ordini:

1. Il vissuto religioso è intimamente connesso con problematiche inconsce ed arazionali, non ultime quelle relative ai fantasmi parentali. In realtà, l'idea di Dio trascende le capacità di conoscenza umana e l'unica possibilità che resta è quella di "costruirla" a partire da esperienze soggettivamente vissute.

2. I meccanismi ossessivi presenti in varia misura nella maggior parte delle persone nevrotiche, tendono a ritualizzare la prassi religiosa svuotandola del suo significato più autentico.

Non a caso Freud, che aveva conosciuto la problematica religiosa attraverso i suoi pazienti nevrotici, la considerava una forma di patologia collettiva.

3. Nonostante la religiosità sia fondamentalmente un tentativo di integrare la propria esistenza con una realtà ontologicamente immutabile, il modo di vivere la fede religiosa è sostanzialmente diverso, non solo nelle differenti religioni, ma anche nell'ambito della stessa religione col variare del contesto storico e culturale ed in strutture di personalità o momenti della vita diversi.

Purtroppo, non sempre, chi è preposto a trasmettere il messaggio religioso, riesce a conservare quella flessibilità che si richiede per poter decodificare i "segni dei tempi" e proporre costantemente dei modelli originali più consoni alle rinnovate esigenze: fra l'altro, chi ha questo compito (e non è certo esente da problemi personali) vive costantemente la conflittualità tra i fermenti della "base" in costante mutamento e le pressioni dall'alto delle gerarchie costantemente preoccupate della coerenza con la tradizione e di non contaminare il patrimonio dogmatico e morale con innovazioni richieste da mode passeggere.

La conflittualità si riversa sul singolo "credente" che con molta frequenza reagisce vivendo nevroticamente la propria religiosità.

Questo spiega come, del messaggio religioso, spesso vengano colti prevalentemente, se non esclusivamente, gli aspetti magici, coattivi o consolatori.

L'operatore coscienzioso, pur partendo dal presupposto del profondo rispetto per le idee dell'utente, se si imbatte in una religiosità nevrotica, ha di fronte una duplice possibilità:

- o limitarsi ad analizzare la componente nevrotica con la prospettiva di disgregarla, anche se con essa si elimina ogni forma di religiosità;

- o fare in modo che l'utente intuisca delle alternative più mature ed autentiche al modo di vivere la sua religiosità ed utilizzi queste prospettive nella strutturazione di un ideale coerente che le valorizzi.

La prima alternativa ci sembra che cada nella superficialità e nel riduzionismo, anche se è la strada più agevole per l'operatore e quella seguita con maggiore frequenza; a noi sembra paragonabile all'atteggiamento di un chirurgo che trova più sbrigativo amputare un arto ammalato anziché curarlo! Ancor peggio se i pregiudizi personali gli fanno considerare nevrotica ogni forma di religiosità.

La seconda alternativa richiede nell'operatore una notevole sensibilità ai valori religiosi, anche se personalmente non li condivide, ed una buona documentazione sulla costante evoluzione degli orientamenti in tal senso. Ovviamente il dovere dell'operatore è limitato a quello di intuire questa problematica e di invitare l'utente ad approfondirla nei modi che egli stesso reputerà più opportuni.

I punti di riferimento potrebbe continuare a lungo; abbiamo voluto citare questi solo a titolo di esempi per mostrare il genere di problemi posti dal primo dei due aspetti che costituiscono l'intervento terapeutico.

242. ADEGUAMENTO DEL COMPORTAMENTO ALL'OBIETTIVO.

Puntualizzando, sia pure in forma interlocutoria, l'ideale a cui tendere, si invita il soggetto ad analizzare se, ed in che misura, il proprio comportamento è finalizzato alla sua realizzazione.

Tutte le volte in cui il comportamento non è adeguato al raggiungimento dell'ideale che ci si prefigge, si analizzano le possibili cause di questa discrepanza.

Parallelamente si mettono in atto una serie di interventi idonei allo scopo; sebbene nella nostra tecnica di intervento diamo ampio spazio alle funzioni cognitive, non trascuriamo tuttavia ogni altro aspetto che possa essere di aiuto per il raggiungimento dello scopo.

Nelle pagine che seguono noteremo alcuni esempi di modalità di intervento in questa direzione.

Anche in questa parte, quanto seguirà ha solo carattere esemplificativo e non esaurisce affatto l'argomento.

Ci limiteremo ad accennare a poche osservazioni tratte da quattro degli aspetti che ci sembrano di particolare rilievo perchè costituiscono dei punti di riferimento basilari.

242.1 Il rapporto terapeutico come esperienza di vita.

Siamo fermamente convinti che il primo fattore terapeutico in ogni trattamento sia l'esperienza di rapporto umano che si realizza nell'interazione fra utente ed operatore.

La psicoanalisi ha denominato coi termini di transfert e controtransfert la particolare interazione emotiva che si instaura tra terapeuta e paziente.

Noi preferiamo leggere lo stesso fenomeno e la sua funzione terapeutica come una esigenza attuale la cui soddisfazione corretta modifica nell'individuo le sue modalità di interazione.

In questa prospettiva, nei limiti del possibile e quando il caso lo richiede, orientiamo il rapporto in maniera tale che l'utente realizzi con l'operatore quanto idealmente si propone entrando in contatto con altre persone.

Il rapporto utente operatore diventa una situazione privilegiata in cui l'utente può essere veramente ed autenticamente se stesso; in altri termini, la situazione terapeutica diventa una palestra in cui l'utente si esercita a mettere in pratica quanto ha focalizzato circa il suo comportamento con gli altri, se questo fa parte dei suoi problemi.

242.2 Ristrutturazione dell'immagine della propria vita passata.

Questo concetto fa riscontro a quanto accennato al paragrafo 241.7.

L'immagine che noi abbiamo della nostra vita passata ha una influenza determinante sul comportamento attuale.

Questa immagine non è qualcosa di statico, paragonabile ad un album fotografico. Se vogliamo ricorrere ad una somiglianza, sia pur vaga, possiamo paragonarla ad un enorme archivio in continuo cambiamento e di cui abbiamo costantemente bisogno per gestire la nostra vita attuale: la disposizione si modifica ad ogni documento che si introduce o in seguito ad ogni consultazione, dopo la quale i documenti vengono cambiati di posto e di ordine; proseguendo nell'esempio, se ogni decisione da prendere è subordinata alla presa di visione dei documenti ad essa connessi, la non completa disponibilità di alcuni di questi documenti ci farà agire in funzione di altri in quel momento accessibili ma che potrebbero rivelarsi non i più idonei.

Qualcosa di simile avviene nella realtà: ogni nuova esperienza non si aggiunge in una semplice sequenza alle altre,ma modifica l'immagine globale della propria vita; ha valore di "esperienza" ed è da considerare un processo attivo anche il richiamare alla memoria fatti passati, valutarli in maniera diversa, rapportarli ad altri, scoprire nuovi nessi.

Avviene precisamente questo, quando nel corso di una psicoterapia si rivivono anche emotivamente le esperienze passate: attraverso un untervento attivo si ristruttura il campo in una configurazione nuova e più funzionale ai fini di un comportamento adattivo meglio finalizzato all'ideale che si vuole raggiungere.

La funzione terapeutica del rivivere le esperienze passate è alla base delle terapie ad orientamento psicoanalitico; ciò che differenzia la finalizzazione terapeutica nella nostra prassi è il diverso presupposto teorico ed il più ampio spazio che noi riserviamo ai processi cognitivi.

242.3 La finalizzazione razionale del comportamento agli obiettivi.

Come accennato, nella finalizzazione del comportamento agli obiettivi, facciamo molta leva agli aspetti cognitivi, sollecitando costantemente ad analizzare se il comportamento messo in atto sia adeguato o meno al raggiungimento dello scopo.

E' l'utente stesso a fare questa valutazione nel corso delle sedute; nel modo di aiutarlo a fare questo esame si cerca di trasmettere un messaggio fondamentale: che questo tipo di analisi diventi una regola di vita, tutte le volte che c'è un obiettivo da raggiungere.

Ci atteniamo a questa prassi non per voler assumere un atteggiamento pedagogizante, ma per dare all'utente uno strumento di corretta valutazione sulla finalizzazione del proprio comportamento.

Spesso questa analisi evidenzia delle discordanze incomprensibili o insormontabili tra comportamento ed obiettivi.

Le cause sono da ricercare in due direzioni: l'incongruenza degli obiettivi o fattori che condizionano arazionalmente il comportamento.

L'incongruenza degli obiettivi può essere connessa con nuclei conflittuali a livello intrapsichico o con problemi di ordine relazionale: in entrambi i casi è da approfondire la ricerca in modo da superare l'incongruenza.

Se non si ha ragionevole motivo di dubitare della bontà dell'obiettivo, l'esame va spostato sui fattori che potrebbero intralciare il comportamento; potrebbe trattarsi di motivi inconsci o del persistere di condizionamenti. Il problema può essere chiarito alla luce delle indagini fatte inizialmente e dall'andamento globale del trattamento.

L'intervento è strettamente conseguenziale: si potrà proseguire con tecniche a sfondo psicoanalitico, comportamentale, o relazionale.

Qualche volta può essere anche opportuno cambiare il tipo di intervento e con esso l'operatore; non si sogliono per questo rilevare inconvenienti poiché l'utente era stato preventivamente avvertito di questa possibilità.

242.4 Utilizzazione di mezzi ausiliari nell'adeguamento del comportamento gli obiettivi.

Nel sistema di terapia da noi usato ricorriamo anche a tecniche ausiliarie, fra le quali l'ipnosi, quando se ne ravvisa l'utilità.

Le modalità, in quest'ultimo caso, sono alquanto diverse da quelle tradizionali; con frequenza proponiamo in stato ipnotico delle visualizzazioni che hanno come protagonista il soggetto che realizza dei comportamenti in cui si attua l'ideale da lui stesso precedentemente elaborato. Riteniamo infatti che tali esperienze fantasmatiche possano in qualche modo equivalere a delle esperienze di vita in cui l'individuo realizza il proprio ideale e modifica l'immagine di sé.

Qualche volta ricorriamo anche a compiti postipnotici, ma con particolari accorgimenti atti ad evitare ogni forma di conflittualità.

Uno, fra i tanti esempi, può chiarire meglio il problema.

In un caso di fobia degli animali, in una certa fase del trattamento può essere opportuno far visualizzare in stato ipnotico che il soggetto avvicini un animale in stato di rilassamento; in questi casi utilizziamo degli apparecchi di monitoraggio degli stati emotivi per conoscere e controllare in che misura il rilassamento effettivamente si verifichi ed il suo variare nel corso delle visualizzazioni.

Se tutto si svolge nella direzione voluta, come compito post-ipnotico suggeriamo che al risveglio il soggetto sentirà un forte desiderio di avvicinare un cane; aggiungiamo la suggestione di amnesia dell'ordine ricevuto.

Particolare attenzione va riferita al fatto che la suggestione non è di avvicinare il cane, ma di sentire il desiderio di avvicinare il cane; la differenza ha un motivo ben preciso: avvicinare il cane potrebbe avere come conseguenza l'associazione tra un'azione da compiere coattivamente ed uno stato di ansia, la qualcosa potrebbe contribuire al permanere della connessione che alimenta la fobia; il desiderio di avvicinare il cane con più probabilità farà associare l'azione con la soddisfazione di un bisogno, e quindi con un sentimento piacevole poiché è proprio il bisogno soddisfatto che determina normalmente il piacere.

Accorgimenti del genere possono aumentare le probabilità di successo nell'uso dell'ipnosi come contributo all'azione terapeutica.

 

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Quanto esposto non intende essere una trattazione esauriente, né tanto meno definitiva, dell'argomento, ma solo una traccia sulla quale ritorneremo chiarendo ed approfondendo i singoli aspetti; invito, questo, che rivolgiamo a tutti i nostri collaboratori e ad ai nostri lettori.