1. Funzione educatrice della scuola.

 

Nel preparare ad un corretto inserimento nel contesto sociale, la scuola segue un doppio binario che idealmente dovrebbe scorrere in modo costantemente parallelo: la trasmissione verbale ed intenzionale di conoscenze ed una comunicazione non verbale che spesso sfugge all'intezionalità, ma non per questo incide meno nella formazione degli alunni. Direi di più: le comunicazioni non verbali (in particolare l'essere percepiti come modelli di vita), eludendo le barriere della razionalità, incidono più profondamente di quanto non si voglia intenzionalmente comunicare.

Capita a volte che i due canali siano discordanti; parlando di mafia, ad esempio, vedremo come si può condurre un programma contro di essa, pur assumendo atteggiamenti mafiosi.

Nelle pagine che seguono inizieremo con delle considerazioni sulla trasmissione di informazioni per passare alla formazione culturale nel senso più completo e all'avviamento alla realizzazione di sé, meta ultima dell'educazione.

 

A. Trasmissione di informazioni.
 

Nella trasmissione di informazioni ci sembra importante tenere presenti alcuni concetti:

a) Predisposizione all'apprendimento.
 

Gli essere umani hanno una naturale capacità di apprendere. Essi sono curiosi riguardo al loro mondo e sono ugualmente desiderosi di svilupparsi e di apprendere.

Ogni apprendimento significativo comporta un certo grado di dolore: ad esempio il bambino che vuole apprendere a camminare, inciampa, cade, si fa male.

In presenza di condizioni adatte, questa capacità e questo desiderio di apprendere, di scoprire, di allargare il cerchio delle proprie conoscenze e delle proprie esperienze possono essere realizzati e soddisfatti.

È una tendenza nella quale si può avere fiducia.

b) Motivazioni dell'apprendimento.
 

L'apprendimento significativo si realizza quando la materia di studio è sentita dallo studente come rilevante per i propri fini. Una persona apprende significativamente soltanto quelle cose che sente utili alla conservazione o alla valorizzazione di se stesso.

È sperimentato che il tempo necessario ad apprendere si ridurrebbe a una frazione di quello normalmente occorrente, se il discente percepisse le rispettive materie come funzionali ai suoi interessi e ai suoi propositi.

Riprenderemo questo concetto parlando dell'avviamento alla realizzazione di sé.

c) Resistenze all'apprendimento.
 

L'apprendimento che comporta un mutamento nell'autorganizzazione e nella percezione di se stessi è minaccioso e tende ad incontrare resistenze.

Gli apprendimenti che si rivelano minacciosi per il sé sono più facilmente accettati e assimilati quando le minacce di ordine esterno sono ridotte al minimo.

Il ragazzo ritardato nell'apprendimento della lettura si sente già, per questo difetto, minacciato e inadeguato. Quando poi egli è costretto a leggere a voce alta in classe, i compagni lo ridicolizzano per i suoi sforzi e i giudizi ottenuti sono un eloquente riflesso del suo fallimento, non c'è da meravigliarsi se egli supererà diversi anni scolastici senza un sensibile miglioramento della sua capacità di leggere. Invece, un ambiente comprensivo e la mancanza di giudizi o l'incoraggiamento dell'auto-valutazione, rimuoverebbero le minacce esterne e gli consentirebbero di compiere reali progressi, non essendo più paralizzato dalla paura.

Certo, non riesce sempre facile per gli insegnanti controllare le reazioni spesso non benevole di una classe.

Solo quando la minaccia al sé non è grave, l'esperienza può essere percepita in maniera differenziata e l'apprendimento può realizzarsi; da notare però che il bambino ansioso e insicuro percepisce come grave qualsiasi minaccia.

d) Facilitazioni nell'apprendimento.
 

Gran parte dell'apprendimento significativo è acquisito tramite l'agire.

L'apprendimento è facilitato quando lo studente partecipa responsabilmente al processo educativo.

e) Globalità dell'apprendimento.
 

L'apprendimento autonomo, che coinvolge l'intera personalità del discente - sentimenti e intelletto - è il più penetrante e il più stabile.

f) Maturità nell'apprendimento.
 

L'indipendenza, la creatività, la fiducia in sé sono facilitate quando hanno rilievo preminente l'autocritica e l'autovalutazione, mettendo in secondo piano la valutazione altrui. Il bambino o l'adolescente che, sia a casa che a scuola, dipende dalle valutazioni altrui, è destinato a permanere in uno stato costante di dipendenza e di immaturità o a ribellarsi in maniera esplosiva a ogni forma esterna di valutazione e di giudizio.

g) L'apprendimento dell'apprendimento.
 

L'apprendimento socialmente più utile nel mondo moderno è l'apprendimento del processo di apprendimento, una costante apertura all'esperienza, una costante acquisizione del processo del cambiamento.

Se la nostra cultura sopravviverà, ciò dipenderà dal fatto che avremo saputo formare degli individui per i quali il mutamento è il fatto centrale della vita; essi avranno la gradevole convinzione che sia necessario acquisire continuamente nuove nozioni per affrontare situazioni in perpetuo mutamento.

 

B. Formazione di cultura.
 

Abbiamo già parlato del ruolo dell'educazione nella formazione di una cultura di vita e nel tentativo di modificare i modelli non funzionali ad una serena convivenza. Focalizziamo l'attenzione su questo secondo aspetto perché, in realtà, non sappiamo quali saranno i valori che gli attuali bambini svilupperanno da adulti; conosciamo abbastanza bene, però, gli attuali modelli disfunzionali ed è nostro dovere prenderne atto senza camuffarli per non trasmetterli alle generazioni future.

Cerchiamo ora di applicare all'ambito scolastico le osservazioni precedentemente fatte.

La nostra scuola dà spesso l'impressione di un corpo chiuso, fortemente gerarchizzato, in cui l'identità istituzionale è vissuta dogmaticamente ed avulsa dal contesto sociale più ampio.

Tutti abbiamo respirato un certo clima, non c'è quindi da stupirci degli atteggiamenti che, senza rendercene conto assumiamo. Il nostro successo educativo sarà determinato dalla critica impietosa che riusciremo costantemente a fare su noi stessi.

Potrebbe essere utile accennare ad alcuni aspetti, strettamente consequenziali:

 

a) Burocrazia.
 

La scuola italiana, come attualmente si presenta, è un sistema strutturato in livelli fortemente gerarchizzati; come tale è retto da norme rigide che hanno effetto di regolare omeostaticamente nel tempo il sistema stesso e di rendere problematico qualsiasi cambiamento.

Nella gerarchia scolastica ogni livello viene controllato da quello superiore e a sua volta controlla quello inferiore: minuziose disposizioni filtrano dal ministero ai provveditorati e ai presidi, dai presidi agli insegnanti, dagli insegnanti agli alunni.

L'ombra dell'illegalità, dell'omissione di atti d'ufficio, di possibili incriminazioni è costantemente presente: ne consegue una fiscalità generalizzata e una attenzione esasperata per gli adempimenti formali che finiscono per prevalere ampiamente sui contenuti.

Si genera qui una prima contraddizione tra obiettivo dichiarato dall'istituzione e obiettivo realmente perseguito. L'obiettivo dichiarato è quello educativo; l'obiettivo realmente perseguito è quello di costituire un'area di passaggio obbligato per il conseguimento di determinati livelli di riconoscimento sociale (titoli di studio).

(vedi M. Selvini Palazzoli, Il Mago Smagato, 1981)

 

b) Rigidità.
 

Una caratteristica frequente in alcuni insegnanti, quasi una deformazione professionale, è la rigidità.

Ai motivi di sempre, connessi probabilmente con la ripetitività nel corso degli anni e la costante preoccupazione di mantenere la disciplina, si aggiunge attualmente la crisi del ruolo: il docente si va sempre più trasformando nel burocrate dell'insegnamento.

La rigida programmazione degli argomenti da trattare ed i numerosi registri da compilare non sempre lasciano spazio e disponibilità al rapporto umano con gli alunni.

 

c) Atteggiamenti corporativistici.
 

Altra conseguenza del vissuto di emergenza è il frequente atteggiamento di difesa intransigente del proprio gruppo di appartenenza.

Si possono vivere conflitti di una certa entità fra colleghi, ma di fronte ad una minaccia esterna ci si coalizza nella difesa del corpo.

Un aspetto connesso agli atteggiamenti corporativistici è la cultura delle raccomandazioni, non sufficientemente dissuasa, da parte di colleghi e non, agli esami di stato; essa si colloca fra il bisogno di sentirsi forti dell'appartenenza ad una classe che detiene dei poteri ed il torbido intreccio dello scambio di favori.

 

d) Autoritarismo e perdita di potere.
 

Altra conseguenza di quanto esposto è lo slittamento verso forme di autoritarismo, messo in atto ed ostentato per coprire le difficoltà ad assumere un atteggiamento di serena autorevolezza.

 

e) Esportazione dei conflitti.
 

La grave responsabilità di un compito tanto delicato mette spesso il docente in una situazione conflittuale e lo fa sentire il capro espiatorio dei mali sociali.

Una delle forme di difesa è la negazione delle responsabilità stesse proiettandole sugli altri:

* L'accusa di ottusità del potere dei capi d'istituto, identificati con burocrati acriticamente aggrappati a regole e normative.

* L'impressione di ostilità degli studenti, sempre pronti con astuzie ed inganni a prendersi gioco dei docenti.

* L'incomprensione delle famiglie sempre sollecite a scendere in campo per difendere i figli oltre ogni ragionevolezza e riversare sugli insegnanti la responsabilità di quanto di indesiderabile possa accadere.

Questa esportazione dei conflitti porta i docenti a sentirsi come una cittadella costantemente assediata e ad aumentare la loro coesione per la difesa dai comuni nemici.

 

g) Uso dilettantistico della psicoanalisi.
 

La diffusione della psicoanalisi ha contribuito al superamento delle passate convinzioni sulla organicità e ineluttabilità di molte anomalie comportamentali. Per contro il suo uso dilettantesco nell'ambito scolastico ha avuto come conseguenza la squalifica degli interventi.

Per quanto superfluo, vorrei richiamare l'attenzione sulla distinzione tra psicologia e psicoanalisi.

  • La psicologia si occupa dello studio del comportamento e delle sue eventuali devianze, facendo appello a chiavi di letture che possono ispirarsi a teorie diverse.

  • La psicoanalisi rappresenta una di queste chiavi di lettura ed ha come presupposto le teorie elaborate inizialmente da Freud sull'incidenza di fattori inconsci, risalenti in modo prevalente all'infanzia, nel comportamento dell'individuo e nella formazione di eventuali devianze.

Nella pratica questa distinzione tende talvolta a sfumare; ormai molti concetti elaborati inizialmente dalla psicoanalisi sono recepiti, sia pure con terminologia e adattamenti diversi, anche da altre scuole.

Gli atteggiamenti degli insegnanti nei riguardi della psicoanalisi, non sempre sereni ed obiettivi, si prestano spesso alla proiezione dei propri conflitti profondi; come sempre in casi del genere, prese di posizione che affondano le radici in contenuti arazionali, vengono giustificati a livello razionale con le argomentazioni più disparate, reputate logiche da chi le porta avanti. La presenza di reazioni simili è rivelata dall’inopportunità di certe reazioni.

Citiamo alcuni esempi di reazioni inadeguate:

  • Accettazione fideistica di qualsiasi spiegazione venga proposta, dimenticando l'antico principio: A posse ad esse, non valet illatio. Una spiegazione teoricamente possibile, non necessariamente deve essere giusta nel caso specifico.

  • Paura arazionale; tutto ciò che fa appello a concetti che mettono in discussione il nostro modo di concepire la realtà, provoca ansia e rifiuto. Non riuscendo a capire i motivi reali, giustifichiamo le nostre reazioni con le argomentazioni più impensate.

  • Atteggiamenti di sufficienza di fronte a qualsiasi tipo di intervento che non rientri nel proprio repertorio tradizionale, come se nulla possa esistere nelle scienze dell'educazione che non sia stato precedentemente conosciuto e sperimentato dall'insegnante.

  • Sfida alle figure professionali esterne a voler risolvere coi loro sistemi situazioni reputate dall'insegnante insolubili.

  • Tentativi di interventi selvaggi nei quali si cerca di agire su un aspetto, ignorando le ripercussioni che ne possono derivare nell'economia globale della personalità.

Per contro, atteggiamenti inopportuni possono riscontrarsi anche fra gli psicologi. Come per la medicina, il diploma di laurea o l'iscrizione all'albo non dà automaticamente la specializzazione in una singola branca, tanto meno la sola laurea in psicologia dà la competenza e l'equilibrio (aspetto questo molto spesso sottovalutato) necessari nella pratica della psicoanalisi; c'è inoltre da stare guardinghi di fronte a neo laureati tuttologi, pronti ad assumere qualsiasi incarico, pur di lavorare.

In realtà, per mettere in atto interventi di ordine psicoanalitico è necessario che il rapporto paziente-terapeuta, punto focale della terapia, si svolga in un contesto rigorosamente controllato e attraverso l'uso di tecniche ben precise alle quali non si può impunemente derogare. Anche quando il trattamento psicoanalitico è di gruppo, deve essere sempre attuato, attraverso l'osservanza di precise modalità.

Non è facile che tutto questo si possa realizzare nell'ambito scolastico; sarebbe come voler eseguire a scuola un delicato intervento chirurgico.

In concreto, non dovremmo perdere di vista alcuni punti:

1. Le facili diagnosi utilizzando una terminologia specialistica possono determinare una etichettatura del ragazzo con conseguenze dannose sulla percezione che si avrà di lui e di riflesso sulla sua evoluzione.

2. Qualsiasi tentativo di intervento diretto, non solo non porta ad alcun cambiamento, ma provoca un rinforzo dell'omeostasi sistemica e potrebbe produrre un danno al ragazzo sul quale si applica.

3. Nella pratica scolastica si è profondamente radicato l'uso di una terminologia derivata (e spesso mal derivata) dalla psicoanalisi, tanto da indurre nella mente degli insegnanti, dei miti che influenzano e condizionano quotidianamente la loro opera educativa: il mito dei genitori cattivi, quello della permissività sotto forma della supplenza affettiva e tanti altri.

4. Spesso il riferimento alla psicoanalisi devia l'attenzione dal presente al passato; la ricerca delle cause nella prima infanzia o al contesto affettivo familiare, fa perdere di vista la situazione presente.

5. L'attenzione eccessivamente rivolta sul ragazzo-problema, propria dell'indagine psicoanalitica, così com'è impropriamente applicata nella scuola, porta a trascurare il sistema di relazioni presenti ben più importante nell'ambito scolastico: il rapporto classe-insegnante. (vedi anche M. Selvini Palazzoli, o.c.)

 

h) Dissonanza nei sistemi educativi.
 

Se analizziamo i nostri comportamenti con atteggiamento smaliziato vi potremmo scorgere spesso delle dissonanze tra quanto vorremmo intenzionalmente trasmettere e quanto di fatto comunichiamo coi nostri atteggiamenti. Un esempio potrebbe essere costituito dalla campagna che è di moda condurre nelle nostre scuole contro la mafia; se analizzassimo quanto fin ora detto, vi potremmo scorgere molte analogie tra i comportamenti descritti e quelli tipicamente mafiosi, in dissonanza con le nostre intenzioni.

Anche interventi giudicati educativi, se analizzati con occhio attento, dovrebbero far sorgere delle perplessità.

Il voler conoscere, ad esempio, il colpevole di una trasgressione, non dai compagni, perché sarebbe delazione, ma dalla confessione del ragazzo stesso, quale messaggio trasmette?

Non vi si potrebbe scorgere una legittimazione dell'omertà del gruppo e un tentativo di affermazione del proprio carisma di fronte al quale il reo è indotto a confessare?

E' molto dissimile dall'atteggiamento del boss al cui cospetto, il picciotto che ha commesso uno sgarro, deve confessare e umiliarsi per evitare esemplari punizioni?

Se l'insegnante fosse più sereno e più sicuro del proprio ruolo educativo, potrebbe mettere in atto interventi più idonei a raggiungere gli scopi che si prefigge.

Una modalità alternativa d’intervento potrebbe tener conto di alcuni punti di riferimento:

1. Sdrammatizzare l'accaduto, non criminalizzando il fatto e tanto meno il trasgressore; ridefinire piuttosto l'azione come qualcosa che, in un particolare momento, chiunque avrebbe potuto fare.

2. Invitare la classe ad esprimere il proprio giudizio, orientando gli interventi, più che sulla violazione di regole, sugli inconvenienti che ne seguono.

3. Portare il discorso sui possibili motivi che può aver avuto il trasgressore; si presupporrà che, se ha fatto quell'azione, in quel momento avrà avuto le sue ragioni, anche se, alla luce di una riflessione più matura, le ragioni stesse si rivelano inconsistenti. Voler negare ogni motivazione interrompe la possibilità di comunicazione.

4. Far sorgere, più o meno apertamente, nel gruppo l'esigenza che il trasgressore contribuisca alla chiarificazione esprimendo le proprie motivazioni. Vedendosi non colpevolizzato e non temendo interventi punitivi, è facile che il trasgressore stesso, come detentore di maggiori e più dirette conoscenze, dia il suo contributo parlando di quello che ha fatto e dei motivi che lo hanno spinto a quell'azione.

Attraverso le quattro tappe schematizzate si trasmettono altrettanti messaggi:

1. Si offre come modello un atteggiamento di tolleranza e di comprensione. Inoltre si rivolge l'attenzione alle insidie esistenti dentro noi tutti, che ci potrebbero portare ad atti antisociali, invece di agevolare la proiezione negli altri. La tendenza spontanea è di sentirci buoni, condannando il male negli altri e sorvolando su quanto c'è in noi da modificare.

2. Si dà l'opportunità di capire che le regole non sono fine a se stesse, tanto meno una ostentazione di autorità, ma dei mezzi atti a facilitare la civile convivenza.

3. Si aiuta ad analizzare le motivazioni delle proprie azioni e ad assumere un atteggiamento critico nei confronti di esse.

4. Si induce il trasgressore ad un riesame del proprio comportamento e come conseguenza ad una dissuasione dal continuare.

Certamente una simile procedura avrebbe un effetto, sul piano educativo, ben maggiore della rituale paternale o dell'azione punitiva.

 

C. Avviamento alla realizzazione di sé.
 

Un altro compito della scuola, da non sottovalutare, è quello di aiutare l'alunno a scoprire la propria vocazione nella vita; cioè in quale settore del campo lavorativo potrà realizzarsi.

Potrebbe sembrare strano che si parli di lavoro già dalle scuole elementari, ma vi sono dei motivi di ordine educativo che suggeriscono di affrontare il problema dell'orientamento scolastico e professionale fin dai primi anni di scuola.

Nella prima parte, parlando dell'educazione, ci siamo soffermati sul concetto di cultura del lavoro nel mondo greco-romano.

Oggi questa concezione sembrerebbe definitivamente superata, anche se nella pratica l'aspetto su cui meno si discute è quello riguardante il vile guadagno!

Malgrado il fatto che le moderne conquiste sociali abbiano rivalutato il vero significato del lavoro come modo per realizzarsi nella vita, spesso nella mentalità corrente esso è visto solo come un mezzo di lucro; per di più, un uomo è valutato per quello che riesce a guadagnare, mettendo in secondo ordine il modo in cui vi giunga.

Il dovere della scuola è di modificare questa concezione e creare le premesse perché il bambino di oggi diventi un uomo realizzato e felice anche nel proprio lavoro.

In questa prospettiva, il modo con cui il problema suole essere affrontato non ci sembra il più adeguato.

Per molto tempo l'azione orientativa è stata inserita in un contesto rivolto esclusivamente ad una ristretta categoria di utenza: studenti delle ultime classi delle scuole medie inferiori e superiori.

All'inizio della terza media, in vista della preiscrizione alle superiori, le famiglie vengono invitate ad una scelta. Possiamo raggruppare i criteri di scelta attorno a tre modalità:

1. La famiglia, con o senza il parere del ragazzo, decide in modo autonomo a quale tipo di scuola iscrivere il ragazzo. Spesso il criterio di scelta è la vicinanza dell'istituto scolastico, la conoscenza di un qualche insegnante, la frequenza di un qualche amico o parente, ...

2. Si prende in considerazione l'interesse e il rendimento nelle varie materie, attraverso il parere espresso dal consiglio di classe.

3. Ci si rivolge a personale esterno, tramite la scuola o privatamente.

Un procedimento analogo può essere seguito alla fine della scuola media superiore, ai fini della scelta della facoltà universitaria o di un indirizzo lavorativo.

Queste modalità, come unico aiuto nell'orientamento ad una scelta, ci sembrano fortemente riduttive e carenti dal punto di vista educativo.

Fra l'altro, portano il ragazzo a considerare il lavoro come:

  • Un fastidio al quale pensare il più tardi possibile. Finché si può vivere spensieratamente, oziando mentre i genitori pensano al suo mantenimento, è sempre meglio.

  • Qualcosa che serve solo a guadagnare soldi per poter vivere; possibilmente molti per poter vivere più agiatamente, ancora meglio se lavorando poco.

  • Il dovere di fare qualcosa, non importa quale, purché si abbia la fortuna per trovarla, eventualmente con l'aiuto di un qualche santo protettore.

In tutti questi casi il bambino non cresce accarezzando, sia pure in modo infantile, un ideale di vita lavorativa da realizzare ed orientando i propri interessi in funzione di esso.

Un ideale intensamente sognato e tenuto costantemente desto dà la carica per affrontare con entusiasmo il corso di studio che permetterà di raggiungerlo; ogni nuovo ciclo sarà atteso perché, differenziando l'indirizzo di studio, costituirà una tappa per il raggiungimento del traguardo. L'ideale potrà anche cambiare, ma resterà costante la visione dello studio come un mezzo per raggiungere qualcosa che permetterà di realizzarsi nella vita.

In realtà, l'orientamento non deve essere considerato un punto di passaggio in vista di facilitare una decisione, ma un iter complesso che dovrebbe accompagnare l'alunno durante l'intero curriculum scolastico; dovrebbe aiutare l'individuo a conoscere progressivamente sé stesso e le proprie potenzialità, al fine di scoprire la propria vocazione nella vita.

In questa prospettiva l'attività di orientamento costituisce un notevole aiuto al processo di maturazione e alla formazione di una sana cultura del lavoro.

Nell'ambito del concetto generico di orientamento possiamo distinguere due modalità:

1. Interventi abituali nel corso delle lezioni:

Potrebbe essere un'ottima prassi, fin dalle prime classi elementari, chiedere ai bambini cosa vorranno fare da grandi; nel corso delle lezioni, si potrà intervenire finalizzando l'argomento all'utilizzazione concreta nella prospettiva delle loro aspirazioni. Inizialmente sarà qualcuno soltanto ad esprimere il proprio desiderio; poi per imitazione se ne aggiungeranno altri. In tal modo si otterrà un duplice scopo: gli alunni comprenderanno che ciò che studiano serve a qualcosa di concreto, nel loro interesse e si porranno costantemente nella prospettiva del lavoro intravisto come qualcosa di bello, oltre che ovvio.

2. Interventi istituzionalizzati:

Possiamo citarne alcuni che sogliono essere previsti:

Orientamento educativo:
 

L'appellativo educativo o pedagogico è ordinariamente usato quando si vuole evidenziare l'insieme di tutte le modalità di intervento orientativo, tendenti a creare nei soggetti i prerequisiti necessari per rendere possibile una libera scelta di studio o di lavoro. Il termine educativo si riferisce alla scuola, alla famiglia e agli enti che collaborano in attività di orientamento per offrire occasioni di sviluppo della personalità in tutte le direzioni(...) e favorire la progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto col mondo esterno (dalla Premessa ai Programmi della scuola media del 1979)

Orientamento scolastico
 

Vanno sotto tale definizione interventi che mirano ad aiutare l'alunno a risolvere i suoi problemi di studio. A questo riguardo, nelle premesse ai programmi della scuola media leggiamo: l'aderenza alle caratteristiche psicologiche del-l'alunno deve costituire un criterio direttivo costante dell'azione educativa e didattica dei docenti e della scuola, affinché possano realizzassi da parte degli alunni proficui processi di apprendimento e di auto-orientamento. Gli interventi messi in atto allo scopo mirano ad apportare dei contributi di soluzione di tipo individualizzato e non tanto di tipo collettivo ed anonimo, per aiutare ciascun alunno a costruirsi un piano personale di soluzione coerente con le sue specifiche esigenze.

Orientamento professionale.
 

Mentre nell'orientamento scolastico l'attenzione è posta sulla formazione globale della persona ed in particolare sui problemi dell'apprendimento e dello studio, nell'orientamento professionale l'obiettivo dell'intervento è focalizzato sulla preparazione alla scelta degli studi o del lavoro che permetteranno una maturazione professionale ed un inserimento nella vita, tale che possa progressivamente soddisfare le esigenze della persona e della società.

Orientamento personale.
 

Sotto questo appellativo si suole convogliare l'insieme degli interventi che mirano a stabilire una relazione di aiuto nel rapporto interpersonale a salvaguardia da disequilibri emotivi e a sostegno nella fiducia in sé per promuovere un'azione di adattamento diretta al superamento degli ostacoli o handicap individuali e all'instaurazione di quell'armonia di ambiente che facilita la comunicazione, l'amicizia e la libertà di azione nel rispetto delle esigenze del gruppo.

Modalità degli interventi educativi:
Guidance e Counseling.
 

La letteratura anglo-americana sull'argomento distingue:

Guidance, l'insieme di servizi che concorrono alla formazione personale sotto vari aspetti, in quanto servizio di orientamento a più dimensioni (educativa, terapeutica, culturale, professionale) per dare la possibilità all'individuo di trovare soddisfazione a tutte le sue esigenze di formazione.

Counseling, che rappresenta la parte centrale del programma di guidance, definito come un'azione di sostegno terapeutico allo scopo di creare un'autonomia decisionale, attraverso l'esame di tutti i fattori: sia coscienti, come i gusti, gli interessi, le aspirazioni; sia inconsci, come le dinamiche personali profonde. Lo scopo è di mettere l'individuo in condizione di operare delle scelte più serene ed autonome attraverso una visione realistica di sé e dell'ambiente in cui dovrà operare.

Circoscrivendo il discorso all'orientamento professionale, gli elementi da prendere in considerazione sono fondamentalmente tre:

Gli interessi che l'alunno presenta. Col progredire del processo di maturità, si dovrà aiutare l'alunno a distinguere i veri interessi dalle velleità e dai condizionamenti nevrotici.

Le attitudini di cui dispone. Non basta che vi siano degli interessi per un dato settore per incoraggiare una scelta; occorre che siano presenti le attitudini corrispondenti per evitare che vada incontro ad inevitabili frustrazioni.

Il mercato del lavoro. Essendo il lavoro un servizio che si rende alla collettività, bisogna tener conto delle esigenze della collettività stessa; incoraggiare un alunno al perseguimento di una preparazione lavorativa in una direzione nella quale vi è saturazione, significa esporre il futuro lavoratore a difficoltà nel trovare una occupazione concreta.

Alla luce di quanto esposto, l'intervento di una équipe alla fine dei due cicli di studi dovrebbe costituire semplicemente una verifica del processo che è andato maturando nel corso del ciclo stesso.