II. La famiglia, fonte di vita o focolaio di nevrosi?
Fin dalla preistoria, la quasi totalità dei raggruppamenti umani si è organizzata in nuclei familiari.
Alla famiglia è stato demandato il compito di trasmettere al nuovo essere venuto alla luce gli schemi di comportamento e i valori essenziali che lo metteranno in condizione di inserirsi pienamente nel contesto sociale in cui trascorrerà la propria esistenza.
Se questa trasmissione avverrà in modo corretto e adeguato, l'individuo condurrà una vita serena e in armonia con se stesso, coi suoi simili e col mondo circostante.
In caso contrario sarà un disadattato, con conseguente disagio personale e disturbo per il contesto in cui dovrà vivere.
Questa affermazione, apparentemente semplice, non ci aiuta però a capire la portata del problema, poiché apre una serie di altri interrogativi per i quali non esistono risposte preconfezionate.
Quali sono i messaggi, le norme di comportamento, i valori da trasmettere?
Qual è il modo corretto per trasmetterli?
Per poter dare una risposta sicura bisognerebbe verificare gli effetti delle varie possibili alternative; in altri termini, ricorrere alla sperimentazione, la via maestra nella ricerca scientifica. In campo umano questa via non è, però, percorribile:
-
vi sarebbe l'interferenza di problemi etici;
-
anche a poterlo fare, bisognerebbe aspettare una vita per verificare i risultati;
-
a verifica effettuata, il contesto sociale si ritroverebbe cambiato ed i risultati ottenuti non si potrebbero automaticamente considerare validi per il futuro.
Una via alternativa sarebbe quella dello studio longitudinale; registrare, cioè, in modo rigorosamente scientifico, tutte le interazioni col bambino fin dalla nascita e correlarle con la struttura della personalità ed i problemi che si presenteranno nell'età adulta. Si tratta di un procedimento di difficile attuazione e non esistono studi seri in tal senso.
In effetti è difficile evidenziare uno stretto nesso di causalità tra eventi infantili e problemi negli adulti, anche per l'interferenza di una molteplicità di fattori difficilmente controllabili.
Una delle possibili vie è l'indagine clinica su adulti in psicoterapia, ma può solo suggerire delle ipotesi, per il legittimo sospetto che i fatti ora rivissuti possano essere una proiezione nel passato di angosce attuali.
Tutti però, psicologi e pedagogisti in testa, pensiamo di possedere la ricetta magica con le norme di saggezza da propinare ai bambini per educarli come si deve, ma l'efficacia di questa ricetta è costantemente smentita da risultati non sempre brillanti; né sembra che i figli degli psicologi o dei pedagogisti seguano una sorte migliore.
Ovviamente, di fronte alla delusione per gli insuccessi, si troverà sempre una spiegazione; non c'è che l'imbarazzo della scelta fra le tante che si trovano nell'area compresa fra i fattori ereditari provenienti dalla famiglia dell'altro coniuge e la società perversa, a partire dai cattivi compagni.
Anche quando si mettono in discussione i propri atteggiamenti, lo si fa con non eccessiva convinzione, per adeguarsi ai luoghi comuni e con la segreta speranza di sentirsi smentiti.
Queste osservazioni mi spingono, anche a costo di deludere, a non associarmi paternalisticamente alla schiera di coloro che profondono saggi consigli.
Mi limiterò a proporre alcuni spunti di riflessione tratti dalle scienze che si occupano della vita e dell'uomo. e dal lavoro che quotidianamente svolgo.
Mi sembra la via migliore e più rispettosa per l'intelligenza degli interlocutori: proporre i dati che la scienza offre e lasciare che ciascuno ne tragga le conseguenze.